Peppe Esposito: Viviamo una estetica del feticcio fatto prodotto!
Nato nel 1960 a Napoli, dove vive e lavora
Fin dai primi anni Ottanta, si occupa di comunicazione per immagini attraverso vari campi di ricerca, cha vanno dal visual design alla fotografia, dalla pittura alle opere tridimensionali, fino alle nuove tecnologie digitali e multimediali.
Ha esposto in numerose mostre nazionali e internazionali, le sue opere sono presenti in musei, collezioni pubbliche e private ed in archivi di arte contemporanea, sia in Italia che all’estero.
Quando guardo un tuo lavoro, ho la sensazione di essere davanti a delle immagini, che senza filtro alcuno, raccontano la crudezza del mercato delle immagini, attraverso bambole, giocattoli e oggetti inanimati mi sembra si alluda metaforicamente all'usa e getta, all'infante e all'adolescente visto come un target di mercato da fare crescere beatamente in un dimensione asettica.
Insomma mi sembra che tu racconti qualcosa di cui tutti siamo stati vittime inconsapevoli, mi sbaglio?
Fotografando manichini, bambole come ritratti viventi, introduco lo spettatore in una realtà parallela estetizzante, erotica e allo stesso tempo inquietante, copia iconica di quella umana.
Sul volto delle bambole e dei bambolotti ritratti non c’è però la luce della tenerezza alla quale siamo abituati, ma l’ombra scura di un futuro incerto, che incombe sull’innocenza e la trasforma in inquietudine.
La bambola non rappresenta la bambola in sè, ma lo spettacolo irretito dell'essere umano in balia del destino, del mercato e della società.
Un tuo particolare talento è quello di fare riflettere su come certe immagini pubblicitarie ci consegnino una estetica di corpi-feticcio ridotti a oggetto e prodotto, anche se non mi sembra ci sia un tuo punto di vista morale, presenti il tutto come un dato di fatto, consideri la sovranità dell'immagine costruita a tavolino un imposizione irreversibile del mercato delle immagini di questo secolo?
Si, una mera estetica di corpi feticci ridotti a oggetto di prodotto, in cui però intervengo con la dissacrazione dell’immagine pubblicitaria.
Come nel caso della mia interpretazione della Barbie, il prototipo di bellezza femminile per eccellenza.
Attraverso la modificazione dei canoni estetici: seno, labbra ed occhi che si ingrandiscono ancora di più per poter rispondere alle esigenze di una pulsione morbosa e sessuale.
Tu sei anche un docente, per cui hai l'abitudine al confronto quotidiano con l'evoluzione dei linguaggi dell'arte, immagini frontiere di ricerca interattive che mettano in condizione lo spettatore di criticare liberamente le immagini che subisce?
Francamente vedo sempre una maggiore emulazione e omologazione alle immagini dettate dai media e dai social network, in cui lo spettatore, in questo caso l’allievo, accetta passivamente e direi forse anche con una certa morbosità e soddisfazione.