Hangar Bicocca prosegue le sue mostre con artisti internazionali che in questo luogo trovano sfogo per progetti mai realizzati. Lo spazio aiuta. E fa anche paura, come esordisce il figlio di Dieter Roth (Hanover, 1930/Basilea 1998), Bjorn … ideatore della mostra insieme a uno staff numeroso di affiatati assistenti, tra cui i due figli, che seguivano prima il padre, e oggi lui. “Paura di affrontare un luogo cosi grande”, asserisce parlando della sfida compiuta per Hangar Bicocca. Sfida ben sviluppata e con un risultato dall’impatto caotico, ma dalla realizzazione meticolosa e precisa.
Il mondo di Roth, attraverso le sue “isole”, è ben rappresentato in un percorso dove l’artista emerge nei suoi vari momenti creativi, da quello grafico con i disegni o le stampe, alle fotografie delle case in Islanda, all’ultimo progetto Solo Scenes (1997/1998) – ora alla biennale di Venezia -, o ancora alle torri di cioccolato e quelle di zucchero, fino alla ricostruzione dei suoi studi, la ripresa, emozionante, dei pavimenti su cui l’artista dipingeva, posati in verticale, come enormi tele. E poi scrivanie, divani, letti buttati in angoli dalla casuale apparenza, video installazioni, librerie, raccolte di libri, fotografie, progetti, testi teatrali, bombolette spray, barattoli di vernice, luci, strumenti musicali rotti, scritte, cibi, il momento di preparazione delle sculture in cioccolato … oggetti creati, altri vissuti, situazioni riproposte, uniti dalla patina del tempo, ma un tempo che ancora ri-vive all’interno di uno spazio imponente.
L’impatto tra la poesia delle immagini dei video della prima sala, un passaggio obbligato per arrivare ad Islands, allestita con la mostra di Ragnar Kjartansson - the Visitors - è sicuramente forte. Da un mondo a un altro. Un mondo costituito da diverse “isole”, come dichiara Vicente Todolì, curatore della mostra: “per rappresentare l’universo di D.R. “isole” non è abbastanza. Non basterebbe un oceano”.