In ogni intervista, Margherita Hack (1922-2003) dichiarava la propria inidoneità a concepire l’esistenza del soprannaturale. Lo faceva con una punta di sufficienza che denunciava la fiducia nella speculazione scientifica. La Hack era un’astrofisica di livello internazionale. La posizione se l’era creata da sola, con il suo impegno e la sua intelligenza.
Margherita Hack aveva dovuto faticare parecchio per guadagnare la sua posizione laica. La famiglia aveva lasciato la religione per sposare la causa teosofica. Aveva cioè votato le spalle a ciò che considerava una superstizione per abbracciare una specie di conoscenza esoterica, riservata a iniziati. La teosofia, specie quella della Blavatsky, era un insieme di convinzioni nella possibilità di giungere alla sapienza ultima tramite una mistica razionale, come se il pensiero potesse, con giusti e vigili abbandoni, ottenere il sapere massimo professato invece dogmaticamente dalla chiesa. Il fenomeno teosofico è figlio dell’ermetismo di Ermete Trismegisto, riscoperto e rivalutato per la caduta della centralità religiosa nel sistema creato dalla rivoluzione industriale.
La Hack non cadde in questa specie di trappola, in questa razionalità nominale e astratta, ma preferì le complicazioni oggettive determinate dallo studio scientifico, arrivando ad ammettere certi limiti umani. Non si trattava, per il nostro personaggio, di una limitatezza assoluta. La Hack era fiduciosa nell’evoluzione del pensiero umano e, in fondo, nel superamento di ogni ostacolo. Più seriamente, poco le importava del traguardo, molto della dinamica intellettuale chiamata a gestire il divenire tumultuoso della realtà e della mente umana chiamata ad adeguarsi.
Si parla di “chiamata” in quanto la Hack, come altri scienziati, riuscì a evidenziare un’esigenza conoscitiva propria dell’uomo. Un’esigenza in crescendo secondo concatenazioni vissute e da vivere cui l’uomo non poteva sottrarsi. In altre parole, una volta avviata, la ricerca della conoscenza oggettiva, non si poteva fermare. Era come se una dote naturale, la curiosità, trovasse sfogo nella scienza e reperisse anche l’obbligo di procedere nell’approfondimento della realtà.
Osservare e dedurre è esercizio ben diverso dal credere a priori. La religione non va certo demonizzata, ma va ricondotta nell’alveo che le spetta, quello della fede per pavidità razionale, oppure per immaturità relativa. O anche per quieto vivere. Già Platone, con la storia della caverna, aveva capito l’antifona. La realtà fa paura, ma poi ci si convive.
La nostra astrofisica non aveva alcuna intenzione di imporsi, ma di raccomandare buonsenso e responsabilità di pensiero sì. La Hack era nemica delle posizioni di rendita e quindi aborriva la conservazione specialmente quella intellettuale. Dietro quest’ultima si nasconde spesso, forse sempre, una convenienza politica che impedisce la rimozione persino dei cascami.
In buona sostanza, la Hack apre discorsi costruttivi. Non dice che bisogna avere fiducia nella scienza, dice che anche la scienza è in discussione, non come metodo, quanto come principio che la vuole affidabile in senso assoluto. La scienza non è una contro-faccia della religione. Quest’ultima ha una precisa pretesa finalistica, mentre il determinismo scientifico divenne assai presto un fatto museale. La scienza è dubbio, la fede è certezza. Il dubbio non è insolubile, ma richiede impegno razionale. La fede si accontenta della fiducia sulla parola. Siamo al cospetto del passato e del futuro dell’uomo. Quale scegliere? La scienziata non aveva esitazioni, era decisamente per il futuro.
Il futuro al quale si riferiva Margherita Hack, è bene dirlo, non è un futuro costellato di rose e fiori, bensì è una questione impegnativa che chiama a raccolta, in aiuto, tutte le risorse, mentali, sentimentali, di cui l’uomo è in possesso, a costo di scavare dentro se stesso e di reperirle senza mostrare alcuna remora. Il pericolo è la mancanza di sicurezza, è il dover creare la realtà momento dopo momento. La delusione è in agguato e così le frustrazioni. Ma come affermava Wittgenstein, ritrovare se stessi e capire quanto si sia poca cosa, è il compito principale dell’umanità.
Il fatto di scoprire di essere poca cosa non è, ed è bene ripeterlo, la rivelazione di un limite assoluto. È invece altro e cioè è un punto di partenza finalmente oggettivo in luogo di un punto di arrivo ipotetico protetto dall’astrazione religiosa, dalla trascendenza di cui la Hack era oppositrice convinta e pervicace. Era come se dicesse: guardate le stelle e accontentavi, sono cose, ma brillano. L’allusione sottostante poteva portare alla speranza di un significato di sé nel mondo, per lo meno poteva valorizzare la propria sensibilità e la propria intelligenza. Essendo scienziata, la Hack optava per la seconda, mostrando un distacco dai sentimenti che però, nel suo caso, era una mezza forzatura.
L’astrologa fiorentina, operativa a Trieste, amava la natura, gli animali. Era da sempre vegetariana. Non ragionava in termini di “res cogitans e res extensa”, tutto per lei era “res cogitans”, per lo meno di rimbalzo, di riflesso. Era lei che “cogitava”, cogliendo sfumature che, volendo essere poetici, si lasciavano cogliere. Il risultato, forse involontario, consisteva, per la Hack, in un protagonismo umano istintivo, tramite il quale ridisegnare il mondo con mano tutta umana. Una mano al contempo divina, ma in senso pratico.
Certe battaglie cosiddette civili, spinte dagli eventi più che meditate e comunque spesso prive della necessaria dinamica interiore, lasciano intravedere la forte personalità della Hack che, senza volerlo e senza pretenderlo, va anche lei, talvolta, sopra la storia senza discuterla a fondo. Se certe cose si sono formate, le ragioni ci saranno e solo la loro scoperta può condurre a una rimozione: così la logica moderna avrebbe ragione completamente. Diciamo che un certo muscolarismo, tipico della società novecentesca, fa passare per trovate geniali colpi di mano.
La Hack convince maggiormente quando sta nel suo. Fra i tanti, il volume “Libera scienza in libero stato” è particolarmente illuminante e incoraggiante. Qui la Hack mostra di possedere grande coerenza: che la scienza abbia pieno diritto di cittadinanza! Essa ci carica di responsabilità personali quanto ci dona un’ampiezza di pensiero che ci fa sentire figli del mondo e non schiavi come quando stavamo a mani giunte.