A LETTO CON MONET
di Giuseppe Veneziano
Ci sono libri che si tengono sul comodino per leggerli prima di addormentarsi. Il loro destino è segnato, perché solo pochi, dopo mesi di permanenza, avranno la fortuna di essere letti fino all’ultima pagina. Tutti gli altri resteranno sospesi nell’aria.
Uno scrittore che non si consiglia di tenere sul comodino è Alessandro Baricco. Con Lui si viene subito inghiottiti dall’oscurità del sonno, non ti lascia neanche il tempo di leggere una pagina. Un ottimo sonnifero per chi soffre d’insonnia. E allora cosa fare? Comprarlo o non comprarlo, leggerlo o non leggerlo, questo è il dilemma (per non scomodare Shakespeare).
Il mio amico Andrea Pinketts, in una mitica serata, di ritorno dalla fiera del libro di Torino, mi disse: “sono andato alla presentazione dell’ultimo libro di Baricco, sperando che fosse l’ultimo!”. Come dargli torto?!!
Ma nonostante tutto, Alessandro Baricco resta un bravo scrittore, un colto e raffinato musicologo. L’unico suo difetto è di perdersi in infiniti dialoghi che, alla lunga, fanno venire il latte alle ginocchia. Il suo libro intitolato “City” (che ho letto come farebbe un bravo ballerino di Tip Tap), contiene alcuni spunti di riflessione interessanti, anche se, nella mia mente, per molti anni sono rimasti sospesi come enigmi insoluti. Ne ricordo uno in particolare: “Gli uomini posseggono case, ma sono verande”. La vera rivelazione di quel libro, però, è la lezione del professor Mondrian Kilroy sulle Nymphéas di Monet. Un’opera, quest’ultima, che ha tenuto impegnato il Maestro negli ultimi trent’anni della sua vita. La domanda che si pone il prof. Mondrian Kilroy (e che anch’io mi sono posto prima di lui) è questa: come è stato possibile che un grande genio come Monet abbia passato trent’anni della sua vita a dipingere solo ninfee? Dobbiamo credere che si fosse rincoglionito, oppure che andasse alla ricerca di qualcosa di veramente importante che sfugge a una lettura superficiale?
Mondrian Kilroy accenna a una probabile interpretazione, molto condivisibile. Monet, trasferitosi definitivamente nella sua casa di Giverny (a nord di Parigi), comprò nelle adiacenze di essa un terreno che adibì a giardino, in cui fece realizzare uno stagno per coltivarvi le ninfee. Ogni mattina, per trent’anni, alla stessa ora, si alzava e andava a dipingerle. Il prof. Mondrian Kilroy non esita a definire tale comportamento: “la prima mossa di un uomo che sapeva benissimo dove voleva arrivare”. Monet voleva dipingere il niente. Ma “per dipingere il niente, prima doveva trovarlo. Monet fece qualcosa di più, lo produsse. Non dovette sfuggirgli che la soluzione del problema non era ottenere il nulla saltando il reale (…), ma piuttosto (…) attraverso un processo lungo di progressivo decadimento e dispersione del reale”.
Il discorso comincia a farsi più chiaro quando il prof. Mondrian Kilroy dice: “Per ottenere un simile, ambizioso risultato, Monet si affidò a un trucco piuttosto banale, ma collaudato - un marchingegno la cui devastante efficacia è testimoniata da qualsiasi vita matrimoniale -, nulla può diventare così insignificante come qualsiasi cosa se ti ci svegli di fianco tutte le mattine della tua vita”.
Le Nymphéas non sono propriamente un quadro, bensì otto tele, che se messe una accanto all’altra ne formerebbero una lunga 90 metri e alta 2. Monet donò quest’immensa opera alla Francia. Dopo la morte dell’artista tale opera fu collocata nel Musée de l’Orangerie di Parigi.
Nelle sale del Palazzo Reale di Milano, fino al 27 di settembre, è stata allestita una mostra dal titolo “Monet. Il tempo delle Ninfee”. Sono esposte venti grandi tele che Monet ha dedicato allo studio del suo giardino di Giverny. Le suddette tele per la prima volta escono dai confini della Francia, grazie a un prestito concesso dal Museo Marmottan. Quindi, non si tratta delle Nymphéas tanto amate dal Prof. Mondrian Kilroy, che si trovano in permanenza al Musée de l’Orangerie, fisse alle pareti in due grandi sale ovali, ma di altre opere, sullo stesso tema, che Monet realizzò lungo i suoi trent’anni di residenza a Giverny.