Una vita in estroflesso, Maurizio Cariati.

Maurizio Cariati
 
 
Maurizio Cariati è un giovane artista calabrese che opera ormai da alcuni anni nell’ambiente contemporaneo con opere di indiscusso fascino.
Dopo anni di ricerca sulla strada da intraprendere, fare sua e percorrere, Cariati giunge nel 2005 alle sue, ormai “famose”, estroflessioni. Il suo lavoro nasce dallo studio di artisti del passato, che lo stesso, è riuscito a rendere perfettamente suo con uno stile del tutto personale, dove però, l’influenza di artisti quali Bonalumi, con i suoi lavori spesso accompagnati da inganni ottico-percettivi e Burri, dove ad un certo punto la juta delle sue opere non è più solo supporto fisico ma parte integrante dell’opera stessa e allo stesso tempo legame con il passato, poi mai tanto lontano, si fanno sentire.
Con certezza, pare ancora sentire l’influenza di artisti che paiono lontani dal lavoro di Cariati ma che in fondo ad esso sono strettamente legati. Basti pensare a Fontana che con i suoi Buchi e i suoi Tagli pare ispirare Maurizio non tanto per i soggetti o le motivazioni, assai lontane nei due artisti, ma per quella voglia di rendere il gesto di cambiare la forma originale della tela, o in questo caso della juta, per permettere al fruitore di entrare dentro e andare oltre ciò che l’opera rappresenta. La dove Fontana cercava un rapporto tra il bianco della materia e il nero del vuoto, Cariati cerca di creare un rapporto intimo, quasi carnale, tra osservatore e osservato.
La creazione dei suoi lavori, in realtà, parte prima ancora di posare il primo tocco di colore sul supporto, perché Cariati crea da se anche i suoi telai. Le sue sono tele di juta, dove si nota un legame che Cariati di certo non vuole dimenticare; quello con la sua terra e le sue umili origini, che cerca di conservare giorno dopo giorno sia con l’utilizzo di tale materiale, sia con l’uso di determinati soggetti nelle sue opere, mai troppo lontani dalla sua realtà, ma in realtà, per niente lontani neanche dalla nostra di realtà, dove ormai spinti a guardare in alto e a determinati parametri da questo convenzionalismo, siamo portati a dimenticare ciò che noi siamo ogni giorno: semplici corpi pieni di emozioni da far esplodere e da espressioni che ci distinguono uno dall’altro e che ci rendono uguali pur nelle nostre innumerevoli diversità.
Cariati si dedica al ritratto, di certo non un genere propriamente contemporaneo, ma che lui fa rivivere nella società odierna, attraverso l’uso di materiali prettamente attuali come i colori acrilici e ancora attraverso le forme che i suoi soggetti tendono ad assumere. I suoi ritratti paiono esplodere fuori da una tela che a loro va troppo stretta, una tela non in grado di bloccare quella esplosione di sentimenti e stati d’animo che dai suoi volti si evincono. Pur nella loro apparente semplicità, le sue opere imprimono in chi le osserva quelle sensazioni, impulsi e passioni che il soggetto stesso ha provato nel preciso istante in cui è stato fermato in quella posa da un obiettivo, da uno sguardo o da un pennello.
 
L’osservatore diventa lui stesso osservato e si finisce col perdere la capacità di distinguere chi sia l’opera e chi lo spettatore. I suoi volti confondono l’occhio di chi guarda, che costretto ad osservare l’opera da più punti di vista si ritrova ad un tratto non più davanti ad un’opera ma dinanzi ad una presenza reale. L’apparente semplicità delle persone e degli animali rappresentati, vengono poi stravolte dalla deformità che l’artista stesso ha fin dal principio studiato per ciascuno di loro: il naso di un cane troppo curioso, occhi stanchi di osservare la realtà da una tela e che cercano di sfuggire da quel mondo fatto di colori, nasi troppo grandi per rientrare in una tela che vorrebbe imprigionarli ma a cui quei volti riescono a sfuggire.
La deformazione, l’espansione di questi volti, viene creata attraverso l’uso di un materiale quale il poliuritene espanso, che viene inserito dall’artista tra la juta e il telaio stesso, di modo che l’opera possa iniziare a compiersi. Il poliuritene espanso andrà a sottolineare il particolare che l’artista stesso ha scelto di mettere in rilievo. Una volta terminata tale fase, Cariati prosegue con la creazione vera e propria.
I suoi soggetti, scelti con attenzione tra conoscenti, immagini presenti nel web e foto delle riviste, vengono rappresentati con l’effetto “fish eye”, un preciso tipo di obiettivo fotografico con un campo visuale tra i 140° e i 180° gradi. Creare tali soggetti, ovviamente, non è molto facile, a causa della rapidità di essiccamento del colore acrilico che viene subito intrappolato nella juta, quasi che la stessa tentasse di fermare il più a lungo possibile un soggetto che presto vorrà sfuggire a quella tela.
Eppure, nelle sue opere, Cariati non nasconde un senso ironico, che porta lo spettatore, ad osservare da lontano i suoi lavori molto spesso con una certa superficialità da dilettanti. Ma basta avvicinarsi di poco a quelle opere per rendersi conto di quanta bellezza sia nascosta in quei tratti sorridenti e alle volte ripetuti, quanto Cariati abbia riposto anima e corpo nelle sue opere, quante emozioni lo hanno portato a creare proprio un soggetto anziché un altro, quanto lui si sia trasferito all’interno della tela stessa per poter esprimere a pieno il suo lavoro.
Amato, spesso discutibile, alle volte non compreso, di fronte alle opere di Cariati di certo non si rimane indifferenti. Cosi, uno dinanzi all’altro, due corpi fatti di materia ben distinta, paiono confrontarsi uno nello sguardo dell’altro sulla vita che li circonda, e che in fondo, non si comprende più se sia quella appartenere al soggetto che guarda attraverso la tela o quella che appartiene all’osservatore.
E cosi, ci si rende ben presto conto, che in fondo, gli spettatori non siamo noi ma i suoi stessi personaggi che da quella tela si sforzeranno di comprendere ogni giorno ciò che nasconde il nostro sguardo.
 
 
Martina Adamuccio

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