La migliore offerta, ritratti al rialzo dal film di Tornatore - secondo tempo

Riguardare l’infinita gallery di Virgil Oldman (Geoffrey Rush) ne La migliore offerta di Giuseppe Tornatore può essere uno stimolante divertissement da conoscitori. In questo cimento per annoiati, che speriamo non annoi, abbiamo ricostruito con occhi da detective dei musei una top ten dei ritratti che compaiono nel film (clicca qui per la prima parte) e che, essendo naturalmente fugaci apparizioni senza nome, richiamano ad un severo esercizio di attribuzione. Severo, si fa per dire: se poi è tanto il piacere per gli occhi. Ecco la seconda parte della nostra classifica. Per le immagini, vedi la gallery in basso.

5° posto – Lawrence Alma Tadema, A listener, 1899. Nella costipata, per quanto spaziosa, parete della stanza di Virgil Oldman, il dipinto di Sir Lawrence, noto cantore di languori neoclassici, appare piuttosto sacrificato: un arredo di Robert Adam, forse, gli avrebbe donato. Ma di là del proprio valore riduttivamente decorativo, il ritratto di Alma-Tadema noto come Ascoltatore evidenzia l’abilità tecnica dell'artista nella resa pressoché tattile della vaporosa stola, insieme ad un realismo del volto spesso sottovalutato nell'opera di un pittore considerato fuori dal tempo.

4° posto – Bronzino, Ritratto di Lucrezia Panciatichi, 1540-41. Ne La migliore offerta di Giuseppe Tornatore questo ritratto appare decurtato nella parte inferiore, ma comunque inconfondibile nell’enigmatica cristallinità con cui affiora dalla penombra Lucrezia Panciatichi. Si trattava della moglie di un aristocratico al servizio di Cosimo I dei Medici, Bartolomeo: il Bronzino eseguì il ritratto di entrambe, in pendant (Uffizi). L’alto livello sociale è rivelato dallo splendido abito di seta rossa, solcato da riflessi nivei sulle spalline che si gonfiano come una rosa ricolma di rugiada, ma anche e soprattutto dai gioielli, con cui il viso stesso dell’effigiata sembra scambiarsi, mutando per alchimia artistica in una bellezza levigata di porcellana.

3° posto – Dante Gabriel Rossetti, La donna della finestra, 1879. Certo il Virgil Oldman di Giuseppe Tornatore, in qualità di antiquario, deve essere anche un esperto di manoscritti. Dante Gabriel Rossetti, preraffaellita tra i più “letterari” dei ritrattisti, aveva tradotto nel 1850 la Vita Nova di Dante, traendone ispirazione per un ciclo di dipinti noto come Lady of Pity. L’effigiata è Gemma Donati, poi moglie dell’Alighieri, che dalla finestra compiange il giovane autore, come riportato nella Vita Nova. Il pittore ne dà una declinazione quasi da redivivo Botticelli pre-Art-Nouveau, con lumeggiature piuttosto secche, quattrocentesche, entro una sorta di cornice arabescante. L'effetto è cortesemente floreale.

2° posto – Pierre-Auguste Renoir, Jeanne Samary in abito scollato, 1877. Non è il Puskin di Mosca, ma la camera di Rush\Oldman accoglie anche un inconfondibile ritratto di Renoir, noto anche come La fantasticheria (La Rêverie), in ragione dello sguardo trasognato della donna: un’attrice dell’epoca, in realtà resa famosa per lo più dai ritratti dell’impressionista. Nonostante il formato contenuto, appare ardita la scelta di ritagliare l’aggressiva scollatura e la ramata chioma leonina su di un fondo non meno caldo. L’effetto d’immediatezza è dato dalla posa frontale della Samary, come sbalzata verso lo spettatore dalla pasta cromatica.

1° posto – Raffaello Sanzio, La Fornarina, 1518-19. Il maestro per eccellenza del ritratto, insieme a Tiziano, è stato Raffaello. La sua Fornarina, in cui ritrae l’amata Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere, compare anche nel film di Tornatore, sebbene sia sensato pensare al fatto che il protagonista del film ne possedesse, semmai, una delle tante copie (l’originale è alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma). Ritratta di tre quarti a sinistra mentre guarda a destra – un’idea forse carica della suggestione degli studi sul contrapposto di Leonardo per la Dama con l’ermellino – la protagonista reca sul braccio michelangiolesco un bracciale con la firma del pittore, forse un suggello d’amore. La nudità morbidamente chiaroscurata, con il mirto di Venere sullo sfondo, emerge con sensuale nitore e flautata rotondità che non mancheranno d’influenzare due artisti piuttosto distanti dell’800 francese, sia pure non privi di tangenze: Jean-Auguste-Dominique Ingres (specie nel turbante) e lo stesso Pierre-Auguste Renoir, che vivrà dagli anni ’80 un profondo rovello “raffaellesco”.
 

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