Il passato di Arnaldo Momigliano

Indro Montanelli accusava gli accademici di oscurità, alimentando la convinzione generale che vuole l’accademia elitaria ed esoterica. Questo esoterismo, che c’è per colpa dello specialismo esasperato, non serve molto alla conoscenza. Chi lo pratica difende la poltrona e il prestigio (a prescindere, direbbe Totò). Si spera, tuttavia, che Montanelli non si riferisse anche ad Arnaldo Momigliano (1908-1987), fra i pochi (ma ce ne sono, sono troppi editori a non accorgersene, per pigrizia e ignoranza) a saper piegare l’erudizione alla cultura. Momigliano, rende viva e profonda la storia: lo leggi e sei proiettato nelle pieghe dell’antichità, nei pensieri e nelle azioni dei nostri progenitori.

Insomma, invece di scovare validi autori di storia, Montanelli preferì affilare la penna e licenziare testi storici superficiali (senza motivazioni solide) aureolati di brillantezza espositiva. Il giornalista toscano puntò su una scrittura semplice e chiara, non sulla profondità della trattazione, seguendo un’esigenza editoriale alla brava fatta passare per servizio pubblico. Esiste, ed è gravissimo, una stratificazione intellettuale (un razzismo culturale) grazie alla quale è lecito rendere semplicistiche cose che, invece, dovrebbero essere semplici. Montanelli, come storico, è stato ancora più dannoso degli accademici. Non è vero che i suoi testi hanno fatto bene alla storia, non è vero perché i lettori si sono fermati alla parodia della stessa.

Quando invece leggiamo Momigliano, ci sembra (sembra a chi scrive, ovviamente) di documentarci su una storia diretta e di incontrare personaggi veri, non marionette. Il Nostro è un autentico scrittore di storia (non di cronaca) che affonda la sua attenzione nella logica radicale degli eventi. Momigliano li interpreta sulla base di documentazioni inoppugnabili e rispetta al massimo la mentalità del tempo. L’evento si forma e si sviluppa sotto i nostri occhi, con semplicità e concretezza. Si ha l’impressione che tutti gli elementi vengano in soccorso: Momigliano li sa chiamare a raccolta, ottiene lo scopo senza forzature. Una meraviglia.  Segue un brano de “Il linguaggio e la tecnica dello storico” in “Secondo contributo allo storia degli studi classici” pag. 365-366:

… Crescendo la distanza di tempo e cambiando gli attori, cresce la difficoltà di spiegare e sorge il problema di stabilire quello che è avvenuto […]. Generalmente parlando, la ricerca storica comincia quando o lo stabilire i fatti o lo spiegarli esige uno studio di documenti. In certi casi lo stabilire un fatto e lo spiegarlo avvengono insieme …

Il nostro storico era cresciuto in una famiglia ebraico-piemontese, ligia allo stato. Lo fu anche con il regime fascista. Arnaldo, autodidatta sino all’iscrizione all’università di lettere a Torino, ne godette guadagnando il posto del suo maestro Gaetano De Sanctis che rifiutò il giuramento a Mussolini, perdendo così la cattedra di storia greca (non fece altrettanto il suo parente Attilio Momigliano, fine e talvolta originale critico letterario, più vecchio di lui di venticinque anni). Al giovane Arnaldo non vennero dubbi sulla validità del fascismo, e questo nonostante le sue frequentazioni a Torino con vari intellettuali, fra cui Carlo Dionisotti, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Cesare Pavese (dei tre Ginzburg, intelligentissimo, era quello che aveva le idee più chiare sul periodo incivile che si stava vivendo).

Il nostro Momigliano collaborò alla stesura di alcune voci storiche dell’Enciclopedia Italiana (la famosa Treccani) e, fra le molte cose già scritte, nel 1934 licenziò un “Sommario di storia delle civiltà antiche” per la scuola media. Infine, s’iscrisse alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, entrando, per così dire, nel cuore del fascismo, vissuto, in buona fede, come garanzia di ordine supremo. Solo nel 1939, con l’esilio a causa della promulgazione delle leggi razziali di un anno prima, Momigliano si rese conto della brutalità di Mussolini. Gli crollò il mondo addosso, si svegliò da una torpore privilegiato dal censo, si riprese dall’inganno e dall’autoinganno. La fuga finì a Oxford, grazie all’interessamento di Croce che lo raccomandò al filosofo Robin George Collinwood. Dopo qualche mese d’internamento, nel 1940, fu rilasciato e collaborò con il Foreign Office nella politica di opposizione al fascismo. Molto peggio andò ai genitori e a undici familiari, tutti eliminati dai nazisti nei campi di concentramento.

In Inghilterra, dove insegnò storia antica, venendo alla fine definito “il più importante studioso al mondo della storiografia del mondo antico” da Ronald Kagan (1932, lituano naturalizzato americano, autore di una ponderosa opera di storia greca, considerata la migliore del ‘900), Momigliano acquisì uno stile serrato, sintetico, essenziale, e nello stesso tempo di ampio respiro storico e civile. Alla tradizionale contenutezza e serietà inglese nel trattare temi storici, Momigliano aggiunge, infatti, una razionalità passionale che, diretta in maniera opportuna – e cioè seguendo il filo logico del progetto – dà alla sostanza della narrazione un fascino notevole .

Arnaldo Momigliano non rinnegò l’Italia – nel 1964 fu fra i docenti emeriti della Scuola normale superiore di Pisa - ma alla fine si considerò uno studioso internazionale di origine italiana. L’internazionalità gli consentiva di allontanare l’epoca giovanile, dove pure, con i suoi studi, era riuscito ad andare ben oltre i limiti culturali fascisti, isolandosi intellettualmente dal regime (d’altro canto, la gloriosa tradizione culturale italiana non poteva essere soffocata dalle improvvisazioni mussoliniane). Dal 1975 Momigliano insegnò anche a Chicago, Harvard, Yale. Numerosissimi gli articoli e i saggi in lingua inglese. Tra le opere facilmente reperibili in italiano: Prime linee di storia della tradizione maccabaica (1931); L'opera dell'imperatore Claudio (1932); Filippo il Macedone (1934). Quindi, l’influenza dello stile letterario inglese: Lo sviluppo della biografia greca (1974); Saggezza straniera (1980); Sui fondamenti della storia antica (1984). Molti suoi studi sono poi raccolti nella serie Contributi alla storia degli studi classici (8 voll., 1955-87), su cui puntare gli occhi, senza farsi spaventare dalla mole.

 

 

 

            

Dario Lodi

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