La Biennale e l’emergenza; un paio di domande a Thierry Geoffroy

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Con l’avvicinarsi dell’inaugurazione della Biennale, si rinnova il sempiterno dibattito arte-mercato, con annesse proteste. L’evento, in concomitanza con Documenta, diventa un frizzante cocktail di sottointesi e fratture socio-economiche, in un’Europa sempre più a picco.
Cercando di capire meglio le implicazioni di questa narrazione multi-strato, sono stata attratta dal lavoro di Thierry Geoffroy, aka Colonel.

Le biennali trend-setters, consolidano di fatto la creazione di nicchie e oligopoli locali nel settore dell’ industria creativa. Il pubblico in questo contesto, rinuncia al proprio ruolo culturale limitandosi a consolidare scelte che sono tout court già quelle del mercato.
Mettendo in luce i meccanismi reconditi di questo sistema, Thierry Geoffroy inventa un format artistico di protesta : Biennalist, attivo dal 1989 nelle biennali di Rotterdam, Venezia, Liverpool, Atene, Sydney, Istanbul … e eventi simili come Documenta. Impersonando “l’ingenuo casco blu”, l’artista si aggira attivando dibattiti e “critical runs”, e soprattutto disseminando qua e là tende con messaggi di protesta; il tutto con un lavoro di documentazione video/testuale incessante. Per i prossimi tre mesi, Thierry Geoffroy attiverà ancora Biennalist, come presenza e mostra itinerante, così proseguendo il questionamento di Documenta e della Biennale di Venezia.

CC: Cosa pensa della strategia critica che alimenta le biennali ?

TG: La critica delle biennali è diventata una cosa importante da fare da quando ho realizzato che l’arte contemporanea serve gli interessi della guerra, della gentrificazione, del colonialismo culturale, del consumismo etc ..
Gli artisti hanno indagato il medium, la tela, ruotandola, bruciandola, rompendola … indagano il pigmento, indagano il museo. È tempo d’indagare la struttura. Le biennali ne sono una parte importante, perché spesso ingannano l’audience e gli stessi artisti partecipanti.

CC: L’arte contemporanea, appare come un sistema che si auto-produce e auto-assimila; è ancora possibile allora rivendicare un arte realmente partecipativa ?

TG: Le biennali hanno delle attitudini politiche, e sembrano a volte persino umaniste, ma spesso hanno delle motivazioni nascoste. è importante per gli artisti partecipanti o per il pubblico creare un opera, fare uno sforzo per trovare le motivazioni, cosa c’è dietro emozioni ed intrattenimento curati. Perché vedere un art show sulla tristezza della guerra, quando è sponsorizzato dall’industria delle armi ? oppure, vedere opere sul cambiamento climatico quando la biennale deve anzitutto compiacere la casa automobilistica sponsor, e ancora, perché piangere l’emergenza dei rifugiati quando il festival d’arte è complice della deportazione ?
Queste interrogazioni sulla struttura non dovrebbero essere un trend, ma una responsabilità per tutti coloro che sono toccati dalla propaganda delle biennali. Le biennali sono pericolose, interrogarle dovrebbe essere un obbligo intellettuale. Per ora, stiamo solo testimoniando l’inizio di questo movimento di questionamento.

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