Eron a Lugano: intervista

Ecco l'intervista ad Eron, in occasione della mostra "Mindscape" alla egogallery di Lugano.

foto ed info qui: http://www.lobodilattice.com/eron-lugano

 

 

Cosa significa e rappresenta il titolo della mostra, “Mindscape”?

“Mindscape” è il titolo della serie alla quale sto lavorando da un po' di tempo e nella quale cerco di evolvere il mio linguaggio pittorico attuale.

Mi puoi spiegare la scelta di inserire nelle opere un particolare che ricorda uno scarabocchio infantile, o una parola (es: sun), quale significato assumono?

L’idea nasce dalla voglia di provare a mischiare stili figurativi diversi e scrittura all’interno di una stessa opera mantenendo una sorta di impianto compositivo “tradizionale”, quasi classico, per cercare di ottenere un impatto visivo inedito e spiazzante ma al tempo stesso sobrio e poetico.

C’è qualche opera della serie esposta a cui sei particolarmente legato? Perché, cosa rappresenta, come è nata, è legata a qualche particolare ricordo?

In realtà sono molto legato ad ogni opera che realizzo perché tra studio, progettazione e realizzazione dedico a ciascuna la maggior parte del mio tempo.

Hai realizzato opere “site-specific”, appositamente in occasione di questa esposizione?

Alcune sono inedite e realizzate per la mostra; altre le ho realizzate prima.

Cosa vuoi esprimere e comunicare al pubblico con le tue opere?

Spesso lavoro su sensazioni che ho provato e atmosfere che ho ben impresse dentro legate a diverse situazioni che ho vissuto personalmente. Quando vedo che sto per raggiungere un risultato visivo che rappresenta una situazione reale, intervengo modificandone alcuni aspetti e integrando nella scena elementi estranei come il disegno infantile o le lettere a seconda di ciò che voglio comunicare. I paesaggi fatti di scarabocchi, che ho chiamato "scribblescape", sono invece spazi da percorrere dei quali non si conosce nè l'origine , nè la fine, nè il perché esistono, nè a che cosa servono. Esattamente come il mondo in cui viviamo ma al quale ci siamo visivamente anestetizzati. Un'indagine pittorico-filosofica; un refresh del senso visivo… di resettaggio percettivo e annullamento di qualsiasi riferimento figurativo conosciuto o archiviato nella nostra mente, eccetto la dimensione ambientale che prende forma grazie alla fusione di buio e luce, trasmettendoci degli "inediti" déjà vu che ci risintonizzano su alcune sensazioni già vissute senza poterle ricollegare a nessun evento preciso. Immagini che non si fermano alla retina ma la oltrepassano entrando nel subconscio, grazie alla rappresentazione di uno spazio/tempo pittorico nel quale i pensieri prendono forme che in maniera del tutto soggettiva interpretiamo.

Da cosa parti per la realizzazione delle tue opere, da schizzi, fotografie, elaborazioni digitali..?

Diciamo che parto da tutte queste cose messe insieme. Spesso mi capita di appuntare un’idea su carta appena mi appare nella mente. Successivamente lavoro a quell’idea migliorandola e affinandola fino a raggiungere l’obbiettivo che cercavo. Altre volte abbozzo qualcosa in photoshop con la lavagnetta digitale, altre ancora parto da fotografie che scatto o che trovo, riproducendone solo la struttura, il colore e l’atmosfera cambiandone però il soggetto.

Puoi raccontarmi qualcosa dell’esperienza nel dipingere “Forever and ever”?

Quando mi è stato proposto di progettare e dipingere un’opera per il soffitto di una chiesa ho subito pensato a quello che era successo per il jazz; un tempo considerato genere musicale di scarsa qualità suonato nei ghetti malfamati delle città che oggi è diventato uno dei generi più colti e raffinati del pianeta, allo stesso modo avrei potuto portare per la prima volta nella storia una forma d’arte spesso etichettata come “non arte” o addirittura vandalismo nel tempio mondiale dell’Arte da sempre ancor prima dei musei. E così è stato. Da qui il titolo “Forever and ever… Nei secoli dei secoli…”

Oggi vieni invitato a dipingere sempre di più in contesti “ufficiali” ed istituzionali, come approcci il lavoro?

Sia quando intervengo in un museo sia quando dipingo in strada, cerco sempre di trovare una sorta di “armonia di contrasto” tra l’opera e il contesto.

Tre parole per descrivere il tuo stile?

Non saprei… forse “impressionismo foto mnemonico”.

Qual è la cosa migliore dell’essere un artista?

La libertà di poter rompere delle regole.

Cosa significa per te essere uno street artist?

Credo appunto sia come essere un musicista di jazz… all’inizio molti non capiscono o sono diffidenti, ma alla fine nessuno può negare l’evidenza… le cose più vere, innovative e interessanti nascono proprio dalla strada.

Per molti street artist il mezzo internet è oggi fondamentale, tu come ti rapporti con il web, trovi sia uno strumento essenziale per la promozione delle tue opere?

La caratteristica della street art, al contrario dell’arte “da museo”, è sempre stata quella di essere visibile a milioni di persone proprio perchè realizzata in spazi aperti e fruibili da tutti. Internet non ha fatto altro che amplificare questa proprietà.

Parlando delle tue prime esperienze in strada, “illegali”, c’è qualche posto in cui avresti voluto dipingere ma dove non sei riuscito?

Credo di aver dipinto in tutti i posti nei quali volevo dipingere…

Cosa manca al panorama street art italiano oggi?

Secondo me non esiste più un panorama “street art” italiano. La street art è internazionale.

Puoi dare un consiglio agli artisti alle prime armi?

Non perdere quell’entusiasmo propositivo adolescenziale, che unito al bagaglio culturale dell’adulto costituisce un'arma potentissima.

Progetti futuri?

Parteciperò ad un progetto internazionale sull’evoluzione della street art del quale non posso ancora dire nulla…

 

www.eron.it

 

Informazioni su 'Veronica Azimonti'