// Focus on artist // : il connubio tra ecologia e arte pubblica nella ricerca scientifica di Andreco

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Quando l’arte contemporanea incontra la ricerca scientifica sulle tematiche ambientali, in un’ottica multidisciplinare che spazia tra differenti linguaggi artistici, soprattutto nell’ambito dell’arte pubblica: dalla street art alla land art, dalla scultura alla video arte, dall’installazione alla performance, dal disegno alla pittura. E’ lo sfaccettato universo artistico di Andreco (Roma, 1978), che verte concettualmente su principi etici di giustizia sociale nell’ambito di questioni ecologiche: dalla tutela ambientale alla riqualificazione urbana. Oltre ad aver esposto all’estero, da New York a Parigi, da Berlino a Madrid e così via, Andreco è autore di diverse opere di arte pubblica, tra murales, installazioni e sculture realizzate in diverse città d’Italia, con una particolare predilezione per Bologna in cui l’artista ha vissuto per tanti anni. “Focus on artist” ha intervistato Andreco per approfondire la sua opera e i temi che la sottendono.

Ti sei specializzato – nell’ambito del tuo percorso di studi – in Ingegneria Ambientale con il relativo dottorato sulla gestione sostenibile delle risorse idriche ed energetiche in diversi ambiti climatici. Quando e come è nata in te la scintilla della creatività artistica che successivamente si è unita alla ricerca scientifica?

Ho iniziato a dipingere quando frequentavo il liceo scientifico. Mio nonno da parte di padre era un pittore paesaggista e mia  nonna da parte di madre era una pittrice che ritraeva soprattutto persone mascherate. Ho trovato i loro pennelli e colori ad olio ed ho iniziato ad usarli. In parallelo ho proseguito il mio interesse per la fisica e la scienza all'università, dove ho sviluppato un forte sentimento ambientalista e di giustizia sociale che ha condizionato la scelta delle tematiche delle mie ricerche. La ricerca artistica e quella scientifica sono andate in parallelo per molto tempo fino a fondersi lentamente. Non so dire il momento esatto ma ricordo che nel 2011 a New York, per “Contemporary Alchemy”, la mia mostra personale a Manhattan, ho realizzato the “Green Man”: la prima di una lunga serie di opere che traggono ispirazione della ricerca scientifica contemporanea sulle tematiche ambientali. La scultura infatti era composta da piante selezionate sulla base di uno studio della Nasa sulle specie che meglio assorbono gli inquinanti in atmosfera. All'epoca facevo ricerca sui benefici ambientali dei tetti verdi ( giardini pensili) a New York. Tornato in Italia dall'America, due anni dopo ho iniziato a concepire sempre più opere ispirate ai temi della mia ricerca scientifica. “CLIMATE”, il progetto itinerante di opere d'arte pubblica sulle conseguenze dei cambiamenti climatici che ho inaugurato a Parigi in concomitanza con la conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite Cop21 a novembre 2015. Poi ho continuato a Bologna e a Bari: è la massima espressione del connubio tra ricerca artistica e scientifica a cui sto attingendo per la sua evoluzione.

La tua opera spazia liberamente tra arte ambientale e arte pubblica. Le tematiche che affronti, infatti, vertono soprattutto sulle interazioni uomo-ambiente e su questioni ecologiste, attraverso linguaggi differenti che spesso si compenetrano tra loro: dall’installazione al murales, dal video al disegno, dalla performance alla scultura. Qual è la tua concezione dello spazio in relazione alla percezione umana? 

 Lo spazio gioca un ruolo importantissimo, la maggior parte dei miei lavori sono pensati e plasmati appositamente per lo spazio in cui vengono creati con l'intento di fornire altri punti di vista e porre delle domande lavorando ovviamente sulla percezione visiva. L'architettura naturale o artificiale, l'ambiente circostante e la distanza tra opera e fruitore sono variabili fondamentali per la creazione dell'opera. Anche la scelta del mezzo espressivo dipende dallo spazio. A volte l'ambiente circostante diventa l'opera stessa a discapito delle mie produzioni da studio.

Infatti, nel mio macro-progetto in itinere “Nature as Art”, il contesto o l'elemento naturale che ritengo significante assumono un ruolo centrale nell'opera, o addirittura diventano l'opera stessa. Vedi le installazioni con diverse specie di piante o i progetti performativi. Per molti anni mi sono interrogato anche sul concetto di spazio chiuso e aperto, sullo spazio privato e lo spazio pubblico, contesti che automaticamente selezionano un pubblico diverso. Dal 2006 al 2010 ho portato avanti un progetto che si chiamava “Escape from the Gallery”, che metteva in relazione lo spazio espositivo con il contesto cittadino contingente con un flusso di continuità. Questo tema l'ho potuto riprendere recentemente nell'ambito della mostra “Back to the Land” curata da Andrea Lerda presso la galleria Studio La Città di Verona dove ho realizzato interventi sia in galleria che sulla facciata esterna. Questa pratica mi permette di relazionarmi con diversi tipi di fruitori e espandere il messaggio della mostra oltre il muro, per alcuni sacro ed inviolabile, della galleria.

Ritieni che l’arte, attraverso opere di riqualificazione urbana e paesaggistica, possa riuscire a sensibilizzare la coscienza collettiva verso questioni politico-sociali? L'arte secondo Andreco' e' rivoluzionaria?

La parola riqualificazione urbana purtroppo oggi mi fa un po' paura dato che è stata usata anche a sproposito come facciata per operazioni di speculazione edilizia. Credo che l'arte debba essere considerata al momento della progettazione di uno spazio pubblico al pari delle opere di ingegneria, urbanistiche, architettoniche e sociali. Ritengo sia necessario avere team di progetto con competenze multidisciplinari per avere una visione più allargata sulle problematiche e le possibilità dello spazio condiviso cittadino.

Se l'arte possa essere rivoluzionaria è una domanda a cui è difficile rispondere in poche righe. Fino a pochi anni fa avrei detto di no. Infatti per molti anni sono stato un cittadino attivo politicamente, un ricercatore impegnato sulle tematiche ambientali ed un artista visionario, attento a tenere ben separata l'arte da tutto il resto. Il fare arte era per me una porta per l'altrove, una via di fuga attraverso cui realizzare in modo libero un istinto, una necessità personale. Oggi alcune urgenze sociali e ambientali sono venute a bussare a quella porta. Ho capito che inevitabilmente le mie opere sono influenzate dalla vita che faccio e dalle emozioni che mi attraversano. Una di queste è il senso di responsabilità verso l'ambiente che ci circonda, di cui noi stessi facciamo parte. Mi affascina la potenza di un linguaggio che non è quello dell'attivista né quello dello scienziato, ma che può affiancarli, in modo mai troppo esplicito o arrogante; un linguaggio che invece di creare verità assolute cerca di distruggerle attaccando le certezze che ammalano la nostra società. Credo che in un processo veramente rivoluzionario sia necessario rompere con la certezza legata al passato; “la certezza che si nutre di viltà, mediocrità e ferocia. La certezza basata sul terrore”, per citare Pasolini. Questa operazione può considerarsi sicuramente anche politica oltre che artistica. Credo che l'arte da sola non possa essere rivoluzionaria, ma, nel contesto giusto, possa invece innescare un processo rivoluzionario, un “nuovo inizio” (per citare Auge). In una società già sollecitata da cittadini ed attivisti l'arte può contribuire, a suo modo, al processo di cambiamento.

Molte delle tue opere hanno come “teatro espositivo” la città di Bologna: dal Wall Painting del 2010 a Pianoro raffigurante la balena, uno dei simboli del territorio in cui sono stati ritrovati i resti di una balena pliocenica, all’installazione, nel cortile di Palazzo D’Accursio, che rappresenta un’enorme tartaruga, simbolo dell’ecosistema da tutelare. Dal wall paint del 2012 intitolato "The philosophical Tree" per il progetto d'arte Pubblica Frontier del Comune di Bologna, alla scultura in ferro “Landmark 01",  realizzata alle Serre dei Giardini Margherita di Bologna. Infine hai creato nel 2014 il Vecchione “Più forte dei guai”, sempre per il capoluogo felisineo. Il progetto Emissions (climate 04) su gli inquinanti del traffico veicolare su più di cento cinquanta metri di muro dell'autostazione. Ci puoi parlare del tuo rapporto con  Bologna?

Senz’altro Bologna è uno dei luoghi dove sono maggiormente cresciuto a livello artistico. Vi ho trascorso diversi anni della mia vita, nonostante frequenti periodi all’estero, ogni volta che tornavo in Italia la mia base era Bologna. Anche per questo ho realizzato tante opere lì. Ma non solo per questo, nonostante molti siano nostalgici del '77 (l'oracolo a cui appellarsi in tempi di crisi, “chiedi al 77 se non sai come si fa”), degli anni '90 e inizio duemila, in cui era considerata un laboratorio culturale e politico, credo che sia rimasta una città molto attenta rispetto ai fenomeni che l'attraversano. Bisogna anche dire che una città e' fatta anche di persone e quelle che stanno dietro i progetti che hai citato hanno lavorato bene. Indubbiamente Bologna mi ha supportato molto e per questo le sono grato. Ora la mia base è Roma, spero che in futuro potrò dire altrettanto anche della capitale.

Nel 2014 hai partecipato al progetto, ideato da Random e GAP, “Indagini sulle Terre Estreme” a Gagliano del Capo e a Leuca nel Salento: com’è stata questa esperienza?

E' stato un passaggio importante per la parte performativa della mia produzione artistica. Diversi anni prima avevo iniziato a lavorare con il corpo, con danzatori e musicisti (Sonata d'organi (2009), Organ dance (2010), Mask and sticks con Allegra Corbo (2013)).  “Parade for the Landscape”, la performance collettiva che abbiamo messo in scena a Leuca, ha messo insieme tutte le esperienze fatte prima in un unico lavoro multidisciplinare. Un nuovo format che unisce pratiche partecipative, il disegno, la realizzazione di costumi, il movimento e la musica è entrato a far parte delle mie produzioni. La parata concettualmente metteva al centro la bellezza del paesaggio (anche questa parte di “Nature as Art”) ed era un omaggio alla scogliera, limite geografico che delinea il passaggio da terra a mare in contrapposizione con il limite politico della frontiera.

Successivamente, per questo filone performativo, ho realizzato la parata “L'Erba Cattiva” in collaborazione con la compagnia Motus per Santarcangelo dei Teatri 2015 e poi la performance “the Rockslide and the Woods” per il Festival Drodesera 2016 “World Breakers” di Centrale Fies. In questa performance i rami del bosco e i macigni della valanga diventano i protagonisti insieme a diciotto performer (Nature as Art). Per il progetto Walking, Arte in Cammino del 2016, in continuità con il progetto salentino ma sul limite opposto, ovvero sul confine friulano tra Italia e Austria ho realizzato “One and Only” una installazione e performance sulla guerra di frontiera e sulla montagna come elemento paesaggistico indivisibile.

Il tuo approccio all'arte e' caratterizzato da diversi linguaggi artistici che spesso s'intrecciano tra loro: potresti approfondire questa tua concezione? Qual è la tua opinione sulla Street Art?

La multidisciplinarietà dei mezzi espressivi credo derivi dal fatto che sono un eterno curioso e sperimentatore. Mi piace scoprire nuovi materiali e nuove tecniche, adottarle e mettermi alla prova. Nonostante questo non sono mai stato per i virtuosismi della tecnica, mentre credo fermamente nella forza del concetto che sostiene l'opera e nella sua declinazione con diversi mezzi espressivi per aumentarne l'efficacia a seconda del contesto e dello spazio. Come delle equazioni che assumono composizioni diverse a seconda dell'evenienza e della necessità.

La concezione del termine street art che ho è legato al ricordo di quando attaccavo i primi disegni in strada a fine anni novanta in forma anonima. Quello spirito non esiste quasi più,  oppure c'è ma non viene considerato, è marginale e sicuramente non è di quello di cui si parla sui giornali. Ci sono altre pratiche e fenomeni mediatici che hanno preso il sopravvento, mossi da ben altri scopi e ambizioni. D'altro canto sono contento del ritorno del muralismo come pratica artistica e strumento per l'arte pubblica, così come dell'installazione ambientale. Non voglio però entrare nello spinoso sentiero delle definizioni e delle valutazioni che non mi competono. Mi piace relazionarmi con spazi chiusi ed aperti, con luoghi raccolti e poco frequentati e con spazi attraversati da tutta la cittadinanza. Sono convinto della necessità e dell'importanza di creare anche opere d'arte che possano essere viste da tutti e non solo dal microcosmo degli addetti ai lavori. Credo sia importante finanziare progetti di arte visiva, teatro e musica anche nelle periferie e non solo nei musei e nei teatri che spesso sono cattedrali nel deserto culturale. Parlando più in generale, l'accesso alla cultura e' un tema di fondamentale importanza per tutta la popolazione, che rafforza la resilienza della società a banali populismi e idee di intolleranza e razzismo.

Uno dei soggetti ricorrenti da te ritratti in diverse modalità è quella che appare come una struttura di minerale. Ci puoi spiegare da dove deriva quest'idea e cosa rappresenta?

E' una forma di sintesi, come ha ben detto Claudio Musso presentando la Mostra Forze della Natura a TRA, Treviso “Le mie forme sono il precipitato di una reazione chimica”, ciò che rimane a rappresentare la geologia, l'intera era geologica, la terra, l'ambiente e la Natura stessa.

Da sempre la mia ricerca parte dal disegno come mezzo per individuare immagini iconiche, essenziali ed evocative. Inizialmente mi ero focalizzato sugli esseri umani e sugli animali:  per dieci anni, le immagini che ho usato per riassumerli erano i loro organi interni. Abbandonata la sfera animale ed esistenziale sono passato a considerare maggiormente la sfera ambientale, così ho trovato nei rami e in questi elementi che ricordano a volte minerali minuti a volte giganti macigni, immagini significanti e rappresentanti, forme di sintesi per il mondo naturale.

 

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Sicuramente proseguirò con il progetto CLIMATE sulle conseguenze dei cambiamenti climatici. Ho anche in cantiere altre performance collettive e altre installazioni ambientali. Non posso parlarne ora, ma seguimi e presto vedrai.

 

http://www.andreco.org/

 

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