Il duo di artisti portoghesi João Maria Gusmão e Pedro Paiva, con la mostra ‘Papagaio ’appena conclusa all’Hangar Bicocca, sono l’archetipo dell’artista contemporaneo che usa il video come medium privilegiato d’espressione. Le trentanove opere esposte sono un excursus negli ultimi dieci anni del loro lavoro. Anni lunghi nella storia di un medium che ha solo mezzo secolo di vita. Le immagini in movimento sono una costante della seconda metà del novecento. Allora perché è tanto difficile approcciarsi alle opere video? Cinema, televisione, streaming on line sono una costante nella quotidianità di tutti, al pari se non oltre alla parola scritta. Sicuramente superiore alla nostra educazione visiva rispetto alla pittura e alla scultura. La costruzione culturale delle ultime due generazioni è prettamente visiva, ma la video arte non si è ancora sdoganata nell’immaginario comune contemporaneo della sua figliazione cinematografica, né è riuscita ad assurgere a pieno allo statuto di opera d’arte. I pezzi in mostra, come molti altri nella tendenza contemporanea, non raccontano una storia secondo i canoni classici del racconto cinematografico. Si tratta di una narrazione “poetico-filosofica”, come viene definita dagli artisti stessi. Al medesimo modo come la pittura è passata dal dipingere il reale al trasfigurarlo per interpretarlo, anche il medium video si sta evolvendo per interpretare la realtà contemporanea. Forse allora quello che turba non è il mezzo in sé, né la difficoltà della sua fruizione, forse è il tempo richiesto allo spettatore. Il tempo che scorre e costringe a una fruizione lineare e continuativa. Il non poter fermarsi, dare uno sguardo, e comunque poter discorrere di ciò che si è visto è forse l’ostacolo più grande? L’arte video oggi ci chiede qualcosa di arcaico, di fermarci un attimo e assistere. Dedicare il tempo che ci viene chiesto dallo svolgimento dell’opera. Paradossalmente, ciò che abbiamo di più moderno ci chiede un approccio classico. Be vintage.