Artisti? Basta con le sciocchezze di autopropaganda
La necessità dell'artista contemporaneo è quella di lavorare per fare riscoprire il valore del segno, in assenza del quale l'uomo animale biologico rischia di scadere in un suicidio di senso.
Il segno artistico è uno strumento relazionale nei confronti dell'altro, è un ricordo, memoria, promessa o progetto, questo approccio può rianimare la figura sociale dell'artista nel quotidiano.
Lo si voglia o no, lo scorso secolo è stato il secolo non delle avanguardie, ma del consumo e del prodotto artistico e culturale, dove si è diluito l'individuo nei media e si è consegnata la comunicazione artistica, tecnica e specialistica alla solitudine e l'indifferenza, tutto si è fatto ruotare intorno alla storia e all'informazione, rendendoci stereotipi, immagini diffuse e controllate a livello planetario nel secolo dei nativi digitali e palmari, sottoposti dal primo vagito comunicativo al batterio del codice e della convenzione.
Il passaggio dall'economia industriale a quella virtuale ha consentito al capitale di creare sulle nostre vite e nella nostra produzione un controllo planetario; l'artista, il suo prodotto e i suoi linguaggi hanno finito per non corrispondere più a un interesse culturale e simbolico di un territorio, il prodotto di mercato indotto e imposto ha finito per imporre all'artista indigeno e radicato territorialmente le sue regole per farsi comprendere dalla sua stessa comunità, questo oggi è evidente e sembra non avere responsabilità storiche tra gli addetti ai lavori, come è possibile?
Le stesse voci critiche degli artisti, quando sfondano il muro dei media, sembrano vittime della loro immagine, espansa a dismisura mediante viralità elettronica.
Il nuovo ordine globale del mercato dell'arte contemporanea usa rappresentanze territoriali e politiche per appropriarsi di forme di indipendenza e originalità artistica, gli "altri sistemi linguistici dell'arte" una volta accettati dai media specializzati escono banalizzati.
Insomma, i linguaggi dell'arte contemporanea hanno un gigantesco problema, dovrebbero esprimere intenzionalmente una loro idea sulla società ma finiscono per apparire una sterile espressione passiva di una condizione di fatto, il linguaggio dell'arte contemporanea nel sociale appare un semplice aspetto della situazione.
L'arte contemporanea sembra incapace di mostrarci qualcosa di diverso da ciò che nel quotidiano abbiamo sotto i nostri occhi ovunque, l'artista ha perso per la strada del mercato l'uso dell'espressione e della riflessione.
Tutto questo fa scaturire nell'artista contemporaneo e nel suo territorio di residenza una emergenza, quella di recuperare un reale sguardo critico in quel territorio, chi è lui? Perché è parte costituente di quel territorio?
Bisogna che con il proprio linguaggio l'artista faccia discutere l'indiscutibile o l'indiscusso, solo così si può fare progredire la ricerca dei linguaggi dell'arte e sollevare la problematica del fine.
Tutto questo passando anche per i social network, usandoli come strumenti per una "utopia didattica dell'arte", eludendo chiacchiere, pettegolezzi, affermazioni perentorie e verità assolute, propaganda e statistiche di mercato, con il proprio linguaggio serve che gli artisti sappiano dire stop alle stupidaggini.
La conoscenza dei linguaggi dell'arte quando non è mercato, non è un sapere assoluto, non è totalitaria e non è neanche un punto di partenza o di arrivo, è un nodo di rete, una governance in vista del sapere come fine individuale e collettivo.
L'identità artistica, la struttura di un proprio linguaggio dell'arte, non è un dono acquisito con la nascita, nessuna identità artistica e nessun artista è dato una volta e per tutte in modo sicuro. Si tratta invece di un progetto, un compito da svolgere con impegno fino a un completamento remoto. L'identità artistica non è un omaggio, è una condanna di lavori forzati a vita, è la fonte inesauribile di capitale per gli "addetti ai lavori", i "venditori di linguaggi" incapaci di filtrarli.