Il coraggio di Jerzy Ficowski

Per la conoscenza dettagliata di Jerzy Ficowski (1924-2006; nella foto con Papusza)), non avendo dimestichezza con l’inglese,  dobbiamo ricorrere a Paolo Statuti, suo traduttore e autore di un blog splendido. Lo scrittore polacco fu un tenace, esemplare difensore degli oppressi e dei perseguitati.

Fervente cristiano, raccolse le testimonianze degli ebrei polacchi sulle camere a gas naziste e le riportò nel suo libro più sofferto, “La lettura delle ceneri”, un testo, un poema, indispensabile per la comprensione di una follia senza pari. Lo scrittore ci mise quasi sicuramente le mani per rendere le testimonianze più incisive, creando intorno ad esse un’atmosfera di disagio estremo, rendendosi tuttavia conto della inenarrabilità di una catastrofe civile e culturale assoluta.  

Il nostro personaggio fu partigiano, per qualche tempo prigioniero della Gestapo, e fece parte dell’eroico Gruppo Baszta (baszta in italiano significa torre), annientato, insieme alla maggior parte dei rivoltosi polacchi (ebbe lutti, e deportazioni, anche la popolazione civile, completamente inerme), nella tristemente famosa distruzione tedesca di Varsavia.

Ficowski non sopportò neppure il successivo regime sovietico, mascherato dall’avvento al governo di Wladislaw Gomulka (anche lui ex difensore di Varsavia): costui, tuttavia, tentò di varare una politica autonoma, ma alla fine dovette cedere a compromessi. Contestato, dovette dimettersi dopo la rivolta operaia di Danzica del 1970. Il nostro scrittore, sentendosi in pericolo per il suo amore per la libertà, andò a vivere con gli zingari, li seguì per qualche anno. L’esperienza gli consentì la redazione di un libro molto importante per la conoscenza intima della vita zingaresca, conoscenza tramandata nel volume “Gli zingari polacchi” e nel forse più suggestivo “Il rametto dell’albero del sole”, dove sono riportate favole tzigane.

A Ficowski si deve la scoperta di “Papusza” (“bambola”, vero nome Bronislava Wajs, 1910?-1987) una zingara amante della poesia. Pare che prima di conoscere il nostro scrittore, rubasse galline e le desse in cambio di lezioni scolastiche. Ficowski raccolse le sue composizioni e le fece pubblicare. Si tratta di cose molto semplici, attraversate da un elementare ma grande e lucido abbandono nella profondità sentimentale. Molte sono veramente toccanti. Alcune si trovano sul blog di Paolo Statuti.

“Papusza” fu ripudiata dalla sua etnia perché vista come divulgatrice di segreti e nemica, per un successo considerato effimero, degli zingari (ma le poesie non confermano per niente questa tesi). Il regime aveva in corso, tra l’altro, un programma che voleva la loro sedentarizzazione che lo stesso Ficowski appoggiava, ritenendo quella vita di spostamenti un residuo, etnicamente molto interessante, dell’antico nomadismo, ormai però fuori tempo.

Immenso omaggio alla cultura è il suo libro “Le regioni della grande eresia”, con il quale viene rievocata (salvata) la figura di uno degli scrittori e intellettuali polacchi (e non solo polacchi) più rilevanti del secolo: Bruno Schulz (1892-1942). Ficowski ha compiuto una vera e propria impresa, lavorando per un trentennio sui documenti del tempo, alla ricerca, perfettamente riuscita, grazie alla sua tenacia, di lettere, referti, testimonianze concernenti il suo concittadino. Un amore filologico insolito e una grande prova di amicizia elettiva a distanza, senza mai un contatto di nessun genere fra i due. Se riconosciamo grandezza a Bruno Schulz, lo dobbiamo al nostro tenace ricercatore, tra l’altro scrittore impeccabile e quindi grande a sua volta.

Jerzy Ficowski, non certo amico del regime gomulkiano, si arrangiò anche a scrivere testi per canzoni, lo fece per comprensibili ragioni alimentari, ma non abbandonò dignità e serietà ottenendo prodotti pari a quelli della poetessa Agnieszska Osiecka (1936-1997), un vanto della televisione polacca, autrice di oltre duemila testi di canzoni.

Il nostro grande uomo seguitò sino alla fine, collaborando con varie testate, la sua battaglia per la salvaguardia della libertà individuale e del rispetto verso l’essere umano. Non ottenne le soddisfazioni che cercava, il sistema andò da un’altra parte, ma certo la sua lezione rimane. Ed è una lezione dotata di eccezionale vigore, per nulla malata di utopia. Sanissima.   

   

 

        

Dario Lodi

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