Breve storia di Luther Blissett

 

 

 

Nel continuo e vorticoso susseguirsi di mode e trend si rischia il pantano, l'immobilismo, uno stato di perenne nostalgia. Ah, l’idealismo e la contestazione degli anni ’60, si dice. Oppure si rimpiangono i ruspanti anni ’70, ed ora i frizzanti e giocosi ’80s. Fermo restando che si tratta di schematismi perlopiù ideologici e/o commerciali, stiamo al gioco bruciando le tappe e celebrando in anticipo il revival degli anni ’90. La generazione X, quella degli indecisi e dei cinici, della politica-spettacolo, dei rave e del popolo no-global che marci(a)va ancor prima di nascere. Ma sono anche quelli della resurrezione del rock e del cinema d’autore, della musica elettronica e della video art che si impongono definitivamente (l’etichetta WARP su tutti), della YBA di Charles Saatchi e dell’arte che non si vergogna più del mercato. Un panorama frastagliato, senza coordinate né comode chiavi di lettura. Ne spicca una però, che corrisponde ad un progetto, ad una significativa sensibilità storica ed artistica, ad una serie di opere, ma non ad un nome. O meglio, un nome c’è, ma è come se non ci fosse. Sto parlando di Luther Blissett, uno dei giocatori di calcio più scarsi della storia di questo sport. Eppure tale appellativo è destinato a restare nella storia di un altro ambito; nientemeno che nella storia dell’Arte con la a maiuscola. Sì, perché il nome di questo brocco di nazionalità inglese è stato “rubato” agli albori del decennio da un manipolo di agitatori culturali, attivi da anni fra musica punk, mail art e psicogeografia (brevemente, questi indirizzi artistici, di matrice situazionista, pongono al centro delle proprie operazioni la fruizione ed il coinvolgimento, spedendo letteralmente le opere a casa di gente scelta a caso dall’elenco, oppure reclutando in spettacoli e performance urbani gli ignari passanti). In sostanza si tratta di un gioco, cui chiunque può partecipare rinunciando alla propria identità e firmando le proprie azioni e le proprie opere col nome-multiplo di Luther Blissett. Il motivo è presto spiegato: per LB il nome proprio, l’identità, il copyright sono restrizioni di sistema, strumenti di controllo e di dominio degli individui alla base della tecnocrazia occidentale. A LB piacciono quindi gli eroi senza volto, individui leggendari le cui gesta possono appartenere a chiunque, da Robin Hood al subcomandante Marcos, da Ermete Trismegisto e Paracelso fino agli antieroi di Sergio Leone ed al Kaiser Soze de I soliti sospetti. I trickster, saltimbanchi, truffatori e avventurieri che diventano leggende popolari in virtù dei loro sberleffi nei confronti degli apparati di controllo e dei regimi. E difatti gli altri cardini del progetto Luther Blissett sono la mitopoiesi ed il sabotaggio mediatico, binari su cui scorre veloce il treno della contestazione al sistema. Con coerenza LB non si pone il problema della differenza specifica fra politica ed arte, in quanto l’effetto comune è pragmaticamente la nascita di miti collettivi e leggende condivise. E LB è proprio questo: il progetto consapevole della creazione di una leggenda, urbana, mediatica ed informatica. Le azioni firmate da LB si ispirano alla machiavellica arte della guerra di Sun-tzu, ed hanno come obiettivo la credibilità dell’infosfera e dell’industria culturale. LB vuole uscire dagli angusti confini dell’underground, del centrosocialismo reale funzionale al potere, dalla logica indolente della contestazione fine a se stessa. LB vuole quindi infettare i meccanismi dell’informazione, creando letteralmente la notizia, dimostrando anzi che chiunque può creare la notizia. Verso la metà degli anni ’90 nessuno era più al sicuro, esposto alle incursioni di centinaia di uomini multipli, condividui, folk heroes dell’era pop; le redazioni locali dei quotidiani di tutta Italia sono state beffate clamorosamente e costrette sulla difensiva. A Bologna le segnalazioni sui ritrovamenti di viscere ed interiora animali in giro per la città hanno creato un caso su cui si sono scervellati sociologi, psicologi ed altri guardiani della cultura, i quali hanno coniato il termine orrorismo (!) per una pratica artistica in realtà mai esistita. Il settimanale del TG1 (TV7) e Studio Aperto hanno creduto al panico morale creato ad hoc da LB tramite la segnalazione di (falsi) circoli satanici nella provincia di Viterbo. A Roma ancora ricordano le feste improvvisate sulle autolinee notturne (in nome della riappropriazione dello spazio urbano, scevre da vandalismi gratuiti ed esagerazioni) interrotte bruscamente dalla polizia. La troupe della celebre trasmissione Chi l’ha visto?, esempio ultimo del potere parastatale integrato capace di reperire le tracce di chiunque, è stata sguinzagliata fra Udine, Bologna e Londra alla ricerca di un artista inglese scomparso in Friuli ma in realtà mai esistito. Un altro artista-fantasma è stato addirittura invitato alla Biennale di Venezia, con tanto di entusiastiche recensioni perlopiù ipocrite, legate alla provenienza geopolitica “calda” (l’inesistente Darko Maver è croato, e ciò ha solleticato i pigri cultori dell’arte esotico-impegnata). Decine e decine di clamorosi cortocircuiti mediatici che hanno fra gli illustri precedenti la famosa burla radiofonica dei marziani di Orson Welles, non a caso regista di un film come F for Fake. 



Ed è recente la trovata della TV belga che, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’integrazione fra anglofoni e francofoni, si è inventata una falsa secessione con tanto di presunta fuga della famiglia reale in edizione straordinaria. La portata profetica del LB Project appare evidente se si pensa ad Al Qaeda o ai dibattiti attuali su opensource e copyleft, temi largamente anticipati ed approfonditi nella mole di saggi, programmi radiofonici, volantini, pamphlet (su tutti Totò, Peppino e la guerra psichica 2.0, manifesto collettivo pubblicato da Einaudi ma scaricabile gratuitamente da internet) ed ai più o meno consapevoli emulatori, dai culture-jammers canadesi ADBUSTERS ad ETOY, fino alle dirette filiazioni come 01000111001.org e WU MING. All’alba del nuovo millennio, infatti, LB si è suicidato. Un suicidio programmato, rituale, come un seppuku della tradizione giapponese, che mette fine al periodo “eroico” di LB e scongiura il pericolo di sclerotizzazione del mito. I reduci da quell’esperienza si sono sparpagliati in nuovi progetti, fra cui il più consapevolmente mainstream è WU MING (senza nome, in mandarino), progetto letterario anonimo e polifonico che in pochi anni ha sfornato una mole di romanzi e racconti dagli standard qualitativi eccellenti. Insieme critica e pratica, l’esperienza di LB è stata quanto di più stimolante abbia offerto il panorama culturale italiano negli anni ’90, senza mai diventare una moda, senza esporsi mai al rischio di museificazione, sintomo di una nuova artisticità diffusa, collettiva e festosa, potenzialmente senza limiti. 

Informazioni su 'Davide W. Pairone'