Wild Thing.
Il mio quindicesimo compleanno cadde quasi in concomitanza con un evento per me sensazionale: il concerto che Jimy Hendrix tenne a Milano, al Piper Club, il 23 maggio del 1968. Senza remore diedi fondo ai miei risparmi per acquistare il biglietto, mi feci così il regalo più bello che potessi mai desiderare. L’ingresso costava poche migliaia di lire, anche se quel poco, per un ragazzetto rappresentava comunque una discreta cifra, ma come potevo precludermi l’occasione di trovarmi d’innanzi al MITO?
In quel periodo anche in Italia si respirava aria di rinnovamento. Il vento di cambiamento che era iniziato dalle coste della California raggiunse in breve L’Europa. La notizia delle barricate parigine innescò in un lampo la voglia di rivolta giovanile. Nelle città italiane cominciarono le proteste studentesche e operaie, che culminarono con gli scontri contro le forze di polizia. Anche e se ero troppo giovane per partecipare attivamente a quegli eventi, ne rimasi in ogni caso influenzato.
Per noi ragazzi il veicolo di trasmissione più immediato di quelle idee fu la musica rock. Con i pochi soldi che avevo ogni tanto compravo qualche disco. Lo ascoltavo e riascoltavo decine di volte, sino a che la puntina del mio vecchio giradischi non ne incideva il vinile con solchi profondi. Comprai “Are You Experienced”, un capolavoro assoluto. La voce calda e sensuale, le sonorità distorte della chitarra, riuscivano a suscitarmi emozioni che nessun altro gruppo mi aveva trasmesso sino allora. Ero attratto dal personaggio, dal suo abbigliamento eccentrico, dalla capigliatura afro, da ciò che rappresentava, da come suonava.
Ogni tanto, la domenica pomeriggio, assieme ai miei amici, andavo al Piper. Il locale era noto come discoteca, ma lo frequentavo solo per ascoltare i gruppi che si esibivano dal vivo. Ricordo ancora i nomi di alcuni dei musicisti che suonavano in quel luogo: Thane Russal, Bad Boys, Dave Anthony’s Moods e i nostrani: Camaleonti, Quelli, Mister Anima.
La notizia che Hendrix si sarebbe esibito nel locale, due concerti, pomeriggio e sera, suscitò in noi un grande entusiasmo, ne parlammo per giorni interi. Una settimana dopo comprai il biglietto per lo spettacolo pomeridiano. Stavo toccando il cielo con un dito.
Il giorno del concerto arrivammo al Piper prestissimo, in modo accaparrarci i posti migliori. In breve tempo la discoteca si riempì. Per stemperare l’attesa suonarono alcuni gruppi, mi ricordo dei Bobo’s Band, Wess and the Airdales e i Renegates.
Arrivò l’ora programmata per il concerto. L’attesa era spasmodica, il locale una bolgia, gli spettatori spingevano sempre più contro il palco, il caos aumentava. Il tempo passava, ma Jimy Hendrix ancora non si vedeva. Cominciò a girare la voce che il concerto sarebbe saltato, perché la strumentazione era stata bloccata in dogana. I doganieri cercavano la droga. Ritornarono a esibirsi i gruppi che avevano già suonato in precedenza, con il medesimo repertorio, non furono accolti bene.
A pomeriggio inoltrato salì sul palco Leo Wachter, oltre che organizzatore del concerto era anche il proprietario del Piper: confermò che il concerto pomeridiano era stato annullato, ma per calmare i più esagitati aggiunse che Hendrix si sarebbe presentato lo stesso per salutare il pubblico. Come promesso arrivò. Anche se fu solo una fugace apparizione, la sua presenza servì a calmare gli spettatori. Lo fissai estasiato, il carisma che sprigionava era tangibile. Vestito con una giacca variopinta e le mechès bionde, con i capelli più corti rispetto a quelli che eravamo abituati a vedere nelle foto. Un breve saluto e se ne andò. Molti spettatori cominciarono a defluire delusi, anche se furono rimborsati del biglietto.
Dopo un consulto, io e i miei amici decidemmo, assieme ad altri, forse un centinaio di persone, di rimanere per assistere al concerto serale. Del rimborso del biglietto non ne volevamo sapere.
Per ottenere ciò discutemmo a lungo e animosamente con i responsabili del Piper. Anche se dovemmo uscire dalla sala, ci accordarono comunque il permesso di rimanere nel giardino della discoteca.
Per avvisare casa mi misi in coda al telefono pubblico del locale. Quando arrivò il mio turno rimasi immobile, con la cornetta appoggiata all’orecchio, non mi ricordavo il numero. Da pochi giorni era cambiato e quello nuovo proprio non lo ricordavo. Era davvero un problema. Come potevo sparire da casa la mattina presto, per rientrare di notte, senza avvisare i miei. Sarebbe stato un affronto che non mi avrebbero perdonato. Rimasi indeciso sul da farsi, mentre il tempo passava e stava diventando buio, dovevo decidere se tornare a casa o affrontare l’ira dei miei. Esposi il problema a un mio amico - Vuoi andare via? Ma tu sei fuori - la sua risposta non mi rassicurò. Quando arrivarono gli spettatori per lo spettacolo serale avevamo già occupato le prime file. Mi aspettava ancora una lunga attesa. Cominciai a sentire la stanchezza, il fumo, il caldo e la calca erano insopportabili. Nella testa mi ronzava sempre un tarlo - la preoccupazione dei miei genitori. Ascoltai ancora i gruppi di supporto, non ne potevo più. La Bobo’s Band suonò per l'ennesima volta “Black Cat”, quel brano ormai lo odiavo “Mandate via quel gatto… gatto nero…” .
Dopo un tempo indefinibile i tecnici di Hendrix salirono sul palco e montarono la strumentazione. Senza preoccuparsi dei piedi delle persone, accalcate davanti al palco, con un tonfo sordo aggiunsero una pedana. Finalmente era giunto il momento tanto atteso. Come per incanto le mie preoccupazioni sull’orario sparirono.
Gli Experience salirono, Hendrix vestito con una camicia viola, pantaloni rossi e l’immancabile Stratocaster, Mitch Mitchcell con i capelli cotonati che, dopo un paio di rullate, si afflosciarono e Noel Redding con il suo basso Fender. Una breve presentazione e le note di “I Don’t Live Today”, si infilarono dritte nelle mie orecchie, scuotendomi sino alla colonna vertebrale. Il rimbombo della grancassa, i suoni distorti della Stratocaster e del basso Fender, a volume altissimo, mi provocarono scariche di adrenalina che giunsero dirette al cervello. Hendrix era fantastico, faceva vivere la chitarra, come se fosse stata un’estensione del suo braccio. La suonava con i con i denti, dietro la testa, fra le gambe, ne prolungava le note, l’intesa con gli altri musicisti era perfetta, non avevo mai visto nulla di simile. Durante l'esibizione suonò i suoi brani più famosi, ma anche Like Rolling Stone di Dylan e Sgt Pepper dei Beatles. Quando lo spettacolo finì avevo le orecchie che mi fischiavano e il cervello che ribolliva. Ero stravolto, ma felice.
Ci fermammo ancora un po' nel locale per commentare quello che avevamo appena visto. Eravamo euforici, con la certezza di avere assistito a qualcosa di incredibile.
A mezzanotte passata uscii. Ora mi aspettava un compito davvero impegnativo: affrontare i miei genitori.
Anche se ero abile nel trovare giustificazioni, quella volta non me ne venne in mente nessuna plausibile. Nonostante il concerto non ero di buon umore. Ero davvero preoccupato; vedevo lo sguardo di panico di mia madre che, angosciata, tediava mio padre, con incessanti lamentele sul mio comportamento, mentre l’incazzatura di mio padre montava a neve. Erano guai seri.
Arrivai sotto casa dopo l’una, mi accorsi che non avevo le chiavi. Rimasi immobile, come un manichino, con il dito appoggiato sul campanello del citofono, non avevo il coraggio di premerlo. Suonai. La serratura della porta scattò. Fly Jimy fly… .
Anche se sono passati oltre quaranta anni dalla sua morte, il mito di Jimi Hendrix rimane inalterato. L’immagine che ha maggiormente stimolato la mia fantasia è quando brucia la chitarra, al festival di Monterey, dopo averla suonata, come in un atto sessuale e al raggiungimento dell'orgasmo la distrugge bruciandola, per offrirne i resti al pubblico, in un gesto d'amore. Questo quadro vuole essere un piccolo omaggio al più grande chitarrista di tutti i tempi. Un musicista capace di scaldare i cuori di intere generazioni, la cui musica ne è stata a lungo la colonna sonora.
Wild thing, you make my heart sing
oh you make a everything, groovy
wild thing
wild thing i think you move me
but i want a know for sure
come on and sock it to me one more time
you move me… wild thing, you make my heart sing
oh you make a everything, groovy
a sing again wild thing…