“Una brillante satira della cultura contemporanea”, così il prestigioso quotidiano britannico The Guardian ha definito “River of Fundament”, l’ultimo lavoro di Matthew Barney. L’opera del quarantasettenne artista americano è liberamente ispirata al romanzo di Norman Mailer “Antiche sere” che, pubblicato nel 1983, deluse la critica, sconcertò il pubblico e venne bollato come un “vero disastro” dal New York Times.
Quella di Mailer voleva essere una rilettura dell’antico “libro dei morti” che narrava dell’incarnazione degli Déi Egizi per mezzo di feroci atti di sodomia. Nella “fabula iniziatica” messa in scena da Barney non è un dio ma un’automobile ad attraversare i sette stadi della reincarnazione ciclica. In “Ren” (2008), il primo atto del progetto di “River of Fundament”, ambientato a Los Angeles, una Chrysler Crown Imperial “muore” per la prima volta. Nel secondo atto, “Khu” (2010), la vecchia Chrysler si reincarna a Detroit, città simbolo dell’industria automobilistica americana, in una Pontiac Firebird e poi nelle sembianze di una Ford Crown. Nell’atto conclusivo, “Ba” (2013), l’”anima” dell’automobile si sposta a New York, dove si materializza in una scultura.
L’ascesa e la caduta dell’industria automobilistica americana diventa perciò una potente metafora del ciclo dell’intero cosmo: come per Wagner, anche per Matthew Barney la Gesamtkunstwerk (l’opera d’arte totale) diventa lo strumento privilegiato per dischiudere il mistero assoluto dell’inizio e della fine di ogni cosa, l’enigma irriducibile del trascolorare della vita nella morte, della morte nella vita.
Quella di Barney si rivela essere una profonda e neobarocca meditazione sulla rinascita e sulla trascendenza, rappresentata attraverso una vera e propria mitologia personale tra elementi pop, simboli religiosi, citazioni letterarie che spaziano da Whitman a Burroughs.
La complessità tematica e l’impianto visivo grandioso e avvincente fanno di Matthew Barney l’ultimo cantore epico dell’età contemporanea.