RITI AL BUIO DELLA "MANIERA"

Secondo l’astrologia, Saturno è il pianeta della “freddezza” razionale, dove i sentimenti, che certamente si esperiscono in Terra, s’allontanano molto dalla loro solarità. Nella storia dell’arte, la centralità dell’uomo rispetto alla natura portò al Rinascimento. Questo alla lunga perse di “vitalità”, razionalizzato nella maniera di percepirlo. La pittura di Saturno Buttò, avente toni e soggetti visivamente gotici, alla fine s’attualizza, rimandando simbolicamente al “buio” della società contemporanea. Questa funziona sul consumo degli istinti privati, mediante l’individualismo. I quadri di Saturno Buttò recuperano il gusto barocco per la “festosità” figurativa, che tuttavia “s’annichilisce” nel manierismo tonale. L’individualismo contemporaneo è fondato sul terno soldi, sesso e successo. Saturno Buttò rinuncia a fare il “moralizzatore”, preferendo ironizzare con la maniera, esibito un “baccanale” del feticismo. Nei suoi quadri, la donna che si spoglia esercita un “potere” sullo sguardo maschile. L’istinto primordiale per l’Eros (lo spirito della vita) trova la resistenza del tono nero (sugli abiti, sulle pettinature, sugli sfondi) verso la necessità finale del Thanatos (lo spirito della morte). L’arte barocca, oltre l’apparenza “festosa”, poteva conservare l’astrazione molto “nobile” dell’illuminazione divina (come nei dipinti di Caravaggio). Tuttavia, Saturno Buttò vive nel mondo contemporaneo, dove l’individualismo termina fatalmente nella maniera del feticismo. Si perde il “riposo” dell’illuminazione divina, che nel barocco poteva sublimare i toni neri per la necessità della morte. Nell’era contemporanea, resta il mero “feticcio” dell’individualismo, il quale parrà fine a se stesso in primo luogo col sadomasochismo.

Le figure umane dipinte da Saturno Buttò spesso cercano il contatto fra di loro. In quelle, la “festosità barocca” dell’erotismo si concluderà sul “manierismo nero” del feticismo (che percepiamo in prevalenza sugli sfondi, sulle pettinature, sugli abiti). Saturno Buttò, straordinariamente bravo a dipingere le figure, cerca un simbolismo che “prenda in giro” l’estetizzazione dei sentimenti. Essa, col consumismo della società contemporanea, fondamentalmente giunge persino ad animarsi, nel feticismo. Molto spesso, le figure di Saturno Buttò s’incontreranno assieme nella “serialità” del rito. Le percepiamo aventi una loro vitalità, quantunque “immolata” sul manierismo dei sentimenti appena… “barocchi” (più “irrazionali” che veri). Saturno Buttò attualizza la tesi rinascimentale dell’uomo al centro della Terra, salvo poi riportarla agli albori delle civiltà, quando non c’era la conoscenza (“l’illuminazione”) eccessiva dell’individualismo, la quale oggi usa il feticismo per mistificare ogni sfondo “nero” (misterioso) dell’Assoluto. Nei quadri, percepiamo un manierismo “a tinte freddamente forti”, dove la classicità della linea figurativa alla fine andrà a contraddirsi, rivitalizzata dal sentimento mistico (sempre abbastanza “provocatorio”, prima di universalizzarsi). Riportata agli albori della civiltà, la tesi rinascimentale dell’uomo al centro della Terra può palesarsi riscoprendo il momento della comunità. Ciò accadrà mediante la pratica rituale. La dialettica fra l’Eros (lo spirito della vita) ed il Thanatos (lo spirito della morte) è per l’uomo insolubile. Quantomeno, dovremmo percepirla senza l’individualismo, superato quando il “feticcio” dell’arte s’animi misticamente.

Per il filosofo Schelling, a caratterizzare il mondo inorganico (delle mere cose: come la pietra, il legnetto, la zolla ecc…) sarebbe la coesione magnetica. Una tesi che Hegel invece critica. Il magnetismo rischierebbe di “celare” il principio contraddittorio dentro ogni mera cosa. Sempre, questa è da un lato un’unità semplice, dall’altro una raccolta di elementi (diversi ed indipendenti fra di loro). Le pietre, i legnetti, le zolle ecc… hanno dei minerali, che naturalmente subiscono le intemperie (a volte, col concorso dell’uomo). Per Hegel, la mera cosa ricorda la congiunzione < anche >. Con questa, noi comprendiamo che la dimensione dell’unità “si rinvia”, ma sempre… “nell’interno” di se stessa”. C’è una vera e propria compenetrazione. Per i linguisti, < l’anche > permette di rafforzare la percezione d’un possesso. La sua congiunzione non pare soltanto semplice. Ad esempio, un conto sarebbe dire ho ricevuto la lettera < e > la cartolina, un altro ho ricevuto la lettera < ed anche > la cartolina. In quest’ultima frase, i due elementi “si compenetrano” fra di loro. In specie, la congiunzione < anche > spingerà a percepire che la lettera necessiti della cartolina, partendo dalla dimensione più essenziale (od “interna”) della prima sulla seconda.

Nella mera cosa (la pietra, il legnetto, la zolla ecc…) il magnetismo sarebbe una sorta di “rafforzamento” alla “compenetrazione” di più elementi (diversi ed indipendenti). Lo stesso accade nella percezione della porosità (spugnosità). La mera cosa avrà elementi diversi ed indipendenti che… “si aprano” (si facciano spazio) gli uni sugli altri, “rafforzati” dalla loro compenetrazione. Consideriamo la spugna usata per lavarsi. Gli spazi vuoti (e dunque inevitabilmente senza forma) hanno la possibilità di “compenetrarsi” gli uni sugli altri, una volta imbevuti d’acqua. Alla fine, la spugna diventa più pesante, parendo stabilizzata “per rafforzamento”. Secondo Hegel, nel mondo inorganico le pietre, i legnetti, le zolle ecc… mancano d’una forma, percependosi così nella “nullità” (vacuità) di se stessi. Là, gli elementi minerali si compenetrano grazie alle intemperie. Per Hegel, è impossibile che le pietre, i legnetti, le zolle ecc… si fondino fra di loro. Nella porosità (spugnosità), l’acqua non passa da una cavità all’altra. Alle mere cose è impedito di fondersi, perché esse essenzialmente mancano d’una forma. Due o più spazi vacui fra di loro possono solo “compenetrarsi”. Le pietre, le zolle, i legnetti ecc… fondamentalmente s’ammassano (senza fondersi), per le intemperie (nella natura, o col concorso umano). E’ un rafforzamento… via < anche >, come direbbe un linguista.

Si consideri il quadro che Saturno Buttò ha denominato Etherea IV. Il mezzobusto d’una bella donna attrae “con fierezza” il nostro sguardo. Il petto all’infuori, la chiusura delle palpebre e poi il “gonfiore” delle guance (come a trattenere la respirazione) le conferiscono una posa… “militaresca”, favorita dalla giacchetta di pelle e dal “basco” verde sulla testa. Spesso, ai modelli è chiesto di esibire la caratteristica tartaruga, avendo l’addome letteralmente “scolpito”, per la “gioia” delle loro ammiratrici… Nel quadro di Saturno Buttò, l’avvenente “soldatessa” scopre il seno, e le sue numerose stellette (aggiunte negli anni, di missione in missione!) si dispongono riproducendo la croce cristiana. La tartaruga si tramuterebbe in cicatrice, all’altezza dello sterno, che per gli anatomisti serve a proteggere il cuore. In Italia, il codice delle forze armate prevede che l’autorità si annunci mediante il numero delle stellette indossate. Lo sterno della donna sul quadro ne ha ben sei. La cicatrice le permetterebbe di “proteggersi” dallo sguardo maschile, e persino di rivendicare su questo la propria autorità. La mano destra scopre il seno facendo virtualmente “deragliare” il costato, negli interstizi delle dita. La bravura pittorica di Saturno Buttò ce ne restituisce i “filtri chiaroscurali”, come se girassimo delle tapparelle. La mano sinistra è più “preoccupante”, perché il pollice e l’indice cercherebbero la tipica icona dello sparo. La “pistolettata” causerebbe i sei fori delle stellette.

La modella ha una posa che virtualmente sprigiona di magnetismo, complice la sua “fierezza” militaresca. In chiave anatomica, il costato della gabbia toracica permette di reggere il cuore ed i polmoni. Pensiamo che il mezzobusto della modella abbia perso la vitalità sulla pelle, tramutata nella più “fredda” robotica. Il tono nel contempo nero e lucidato della giacchetta si percepirà come “metallico”. Le stellette parrebbero in compenetrazione sulla pelle. Con l’incollaggio, due superfici si toccano fra di loro solo virtualmente. Le stellette qui sembrano visivamente “emergere” dalla pelle, lasciandovi uno spazio vuoto. Per noi, la percezione dello sterno sarà molto dura. Il torace perde di vitalità, sembrando fatto di pietra (sulla pelle) o di metallo (con le stellette). Il magnetismo della bellezza femminile ha elementi diversi ed indipendenti, che noi percepiamo compenetrati fra di loro. Il seno si scopre fin quasi a “deragliare” sulle dita. Gli occhi guardano col “filtro” delle lunghe ciglia. La respirazione (dai polmoni) e la sentimentalità (dal cuore) hanno una vitalità che “si crocifigge”, emergendo nella superficie solo “metallica” delle stellette. Elementi che si compenetrano fra di loro, dentro l’unità dell’organismo. Alla fine, giudicheremo che il magnetismo della bellezza femminile si rafforzi, nella stabilità “autorevole” dei gradi militari. I diversi elementi della seduzione (le lunghe ciglia, il seno nudo, le dita chiaroscurali che “striscino” nelle carezze) si faranno spazio gli uni sugli altri, trovando così la “freddezza astronomicamente… saturnina” della pietra e del metallo. Essa è certo pesante da percepire.

Il dipinto denominato Baccanti e Dioniso ci mostra una figurazione probabilmente “porosa” (spugnosa). I seni sono abbondanti; quelli che s’avvicinano ai calici persino concorreranno al versamento del vino. La pianta della vite ha foglie “spugnose”. Vediamo l’attorcigliarsi dei rametti, i quali così rientrano su loro stessi. La configurazione del calice è sempre raccolta, invitando al brindisi degli auguri, dove (complice lo “strappo” del braccio) il vino avrà un “sobbalzo”, che gli conferisce un dinamismo “spugnoso”, almeno per pochi secondi. Saturno Buttò dipinge il naso rosso, che rientra classicamente nell’icona dell’ubriaco. Anch’esso è “poroso”, in aggiunta sulla pelle. Il serpente si vede “ammassato per attorcigliamento”, se non da se stesso almeno con la mano del bambino. Percepiamo che tutte le figure letteralmente sobbalzino. Il dipinto da Saturno Buttò ci manifesta una ritualità “spugnosa”. Il vino scorre per compenetrazione in mezzo ai seni, nelle cavità venose delle mani, a “macchia d’olio” sui nasi rossi. Nell’antichità, il dio Saturno era deputato a controllare l’agricoltura, e dunque lui simbolicamente poteva liberare l’abbondanza. Qualcosa che modernamente ci pare “strana”… Spesso, l’astrologia attribuisce a Saturno il principio d’uno status negativamente malinconico od insoddisfatto per la persona.

Nel dipinto Baccanti e Dioniso, le figure vanno percepite con la congiunzione < anche >, per così dire. Basta guardarne gli elementi “rigogliosi”, dove la pittura esteticamente s’avvicinerà all’iperrealismo. Ci sono la pelle < ed anche > il naso (con l’aggiunta del rosso), il calice < ed anche > il seno (il quale concorre a versare il vino) ecc… Così, scomparirebbe tutta la negatività astrologica del carattere “saturnino”, malinconico od insoddisfatto. Il pittore ci mostra un “guadagno” figurativo. La prima riproposizione “di maniera” ora sarebbe in grado di rivitalizzarsi, se il feticismo avesse < anche > una sua “anima”. Il baccanale non riguarda soltanto il vino sul calice o sulle vene. C’è anche quello sul seno abbondante o sul naso rosso, i quali potrebbero “rianimarlo”.

 

(Recensione d'estetica per la mostra Nati sotto Saturno, coi dipinti di Saturno Buttò, e visitabile dal 10 Marzo al 20 Aprile presso la Piccola Galleria d'Arte Contemporanea, a Bassano del Grappa)

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