Lui, più di Tolkien di Howard e di tanti altri mostri sacri, mi ha iniziato a un certo tipo di letture. Parlo di fantasy, ai tempi in cui questa parola non coincideva automaticamente a “cretinate”. Tra l'altro si tratta di una valutazione sfalsata dalla quantità abnorme di schifezze importate sui nostri scaffali dalle case editrici italiane. Altrove il fantasy è ben altra cosa, vivvaddio, ma ogni paese ha in fondo gli editori che si merita.
Ma non è di loro che voglio parlare, bensì di zio Terry.
Che si sia proposto al mercato internazionale come una sorta di clone di Tolkien oramai lo sanno anche i sassi. Era il 1977 e il libro era La spada di Shannara.
A casa mia la spada arrivò in formato Oscar Mondadori attorno al 1985, quando il fantasy cavalcava l'onda lunga dei librogame, che a quei tempi riscuotevano un successo strepitoso, seguiti subito dopo da Dungeons & Dragons e altri giochi di ruolo. Eravamo una generazione con molta immaginazione e tanta creatività.
Nel giro di un paio di anni recuperai anche Le pietre magiche di Shannara – uno dei migliori romanzi di Brooks – e La canzone di Shannara.
Un quinquennio più tardi Brooks tornò a occuparsi delle Quattro Terre, inagurando una nuova saga di quattro volumi. Era il 1990. I nuovi libri di zio Terry mostravano un'altra complessità, un intreccio più complesso e cupo. Un fantasy maturo, senz'altro più di quello di un altro collega che stava facendo faville, David Eddings, che io non ho mai sopportato.
Mondadori, furba già da allora, impose un preciso ritmo di pubblicazione italiana alla nuova saga di Brooks: un volume per ogni Natale, dal 1990 al 1993.
Così il Ciclo degli eredi di Shannara diventò un appuntamento fisso tra le mie richieste di regali natalizi. Era un piacere attendere le feste per poi gettarsi nella lettura di quei libri, ottimi per far volare la fantasia con personaggi però piuttosto ben definiti a livello umano e psicologico. Poi, ok, c'erano i mostri, gli elfi, i druidi, gli oggetti magici (rari ma potentissimi).
Se ci sono dei libri che posso definire parenti putativi sono senz'altro quelli di Terry Brooks.
In questi giorni, per una serie di piccole coincidenze e di associazioni d'idee, mi sono messo a rileggere il mio libro preferito di quella saga, Il druido di Shannara. Ricordo che lo amai spassionatamente, complici alcuni tra i migliori eroi e villains usciti dalla penna di zio Terry: Walker Boh, Pe Ell, Viridiana.
La cosa che però più mi attraeva del romanzo era l'approfondimendo della tematica più affascinante riguardante la natura delle Quattro Terre, ovvero il fondato sospetto che esse non siano altro che una piccola parte del nostro mondo, trasformata radicalmente dalle Grandi Guerre avvenute molti secoli prima. Ossia più o meno nel XXI secolo. Cioè adesso. Dopo la guerra termonucleare, batteriologica e chimica, della Terra rimaneva poco. Quel poco però riscoprì la magia a discapito della tecnologia, che fu abbandonata.
Scenario che in questi ultimi anni Brooks ha romanzato e ampliato nella sua ennesima saga, la trilogia de La genesi di Shannara.
Il punto è che, narrando le cronache della nascita delle Quattro Terre, zioTerry ha tolto del tutto quella sensazione di mito, di leggenda che aleggiava nei primi romanzi di Shannara. Ha quindi de-mitizzato la sua stessa creatura, sfruttando il trend per vendere altri tre libri ma inaridendo lo scenario generale.
Ne Il druido di Shannara i protagonisti si trovano a dover esplorare le antichissime rovine di Eldwist, che pian piano si rivelano essere nientemeno che quelle una città del nostro presente (e quindi del lontano passato dei protagonisti) duramente colpita durante le Grandi Guerre, al punto da essere distrutta totalmente.
Atmosfere avventurose, epiche, fantasy mischiato a una bizzarra ucronia low-profile. Il druido di Shannara rischia di essere ancora oggi una buona lettura. Un tuffo nel passato fatto con gli occhi da adulto.
Anche questa è magia, in fondo.