TESSILE CONTEMPORANEO
continuità e contaminazioni
FABBRICA Gambettola
6 > 21 novembre 2010
Fabbrica viale Carducci 113 - Gambettola (FC)
La tessitura è una pratica che riconnette con il passato, con un fare dal carattere fortemente femminile. Nell’incontro tra trama e ordito il filo dà forma alla memoria delle donne e al loro ancestrale gesto. Tessere, cucire, rammendare, ricamare sono parole che definiscono un territorio tradizionalmente femminile, che oggi si è esteso come tecnica nell’arte contemporanea. Non più memoria di genere quindi, ma mezzo tecnico, linguaggio, codice. Non bisogna però dimenticare che questo gesto si è imposto grazie alle artiste femministe, alla loro azione coraggiosa e dirompente.
Innovare nel rispetto e nella riconoscenza di una tradizione. Parlare la lingua del tessere vuol dire aprire un dialogo tra trama e ordito, tra tradizione e futuro, tra archetipo e sperimentazione. Il filo del presente intreccia significati e trame nell’ordito del passato. Diviene fioritura di un gesto comune e prezioso, passaggio di sapere di generazione in generazione. Oggi questa pratica si apre a nuovi materiali come il feltro, il silicone, la carta etc. e a nuovi contenuti che rimandano a valori intimi, ma in qualche caso anche a temi sociali ed ambientali.
Le 13 artiste in mostra, ognuna con la sua poetica, si appropriano con riconoscenza di un linguaggio tradizionale per rilanciarlo negli umori del contemporaneo, confrontandosi con lo spazio geometrico di Fabbrica, ex cementificio S.I.C.L.I.
Le sale dalle pareti grigie accolgono il calore di opere realizzate manualmente con materiali che evocano forti sensazioni tattili. Le piccole tele di Yoshiko Noda, la sua voce sussurrata provoca un felice ascolto in chi le guarda. La delicatezza del segno, le cuciture appena abbozzate sulla stoffa esaltano il contrasto con la durezza delle pareti. Piccoli spazi di meditazione che si aprono a un umile gesto di raccolta che si unisce alla purezza orientale delle forme: “sempre vorrei raccogliere le voci bassissime da tutti i luoghi: nel vento, nelle nuvole, nel verde, nel pane, nel riso”. Le fioriture di Kaori Katoh, un omaggio alla bellezza generosa e gratuita del mondo vegetale, colto nel momento più alto dell’espressione di sé: il fiore appunto.
La preziosità inaspettata di un materiale come il silicone, che, lavorato dalle mani sapienti di Iratxe Larrea, artista basca, diventa lucente come madreperla. Piccole medaglie lucidopache, che tessute insieme prendono la forma di tappeti, asciugamani o abiti scultura. Un lavoro che non fa che interrogare il legame affettivo che si instaura tra noi e gli oggetti. E in particolare quegli oggetti di casa che si saldano alla memoria collettiva delle donne. La stanza tutta per sé di Laura Giovannardi, dove la dimensione di gioco dell’infanzia prende corpo in ninnoli, pupazzi e microsculture in feltro come carezze affettuose al bambino che risiede nell’anima di chi guarda.
Bustine di me, il lavoro di Giorgia Manfredini May, che si racconta ironicamente, prendendo le distanze da sé. Frammenti di materiali che ricomposti raccontano la sua storia come fosse istoriata sulla pergamena del presente. Come nel paese delle meraviglie poi qualcuna di queste immagini diventa enorme e una bustina da tè può essere cavalcata per entrare in un mondo incantato e mutevole.
La grande lacrima di Laura Guerinoni, che, appoggiata sul pavimento industriale rivela tutto il suo calore materico. Un intreccio fittissimo di filato grezzo, che rimanda a un mondo organico. Un sequenza rituale di nodi, come un antico scongiuro per scacciare la malinconia di un dolore intrappolato in fondo al cuore. Il dolore è il tema attorno al quale ruota anche l’opera di Tiziana Abretti, dal titolo molto suggestivo: Rompi una costola a una donna e ne ricresceranno dieci. Un’installazione composita dedicata al tema della violenza sulle donne. Una raccolta di testimonianze che fa da contrappunto a un velo calpestato, simbolo di un sogno mortificato. Il pensiero va inevitabilmente al dramma dello stupro e delle molestie sessuali, le quali avvengono nella stragrande maggioranza dei casi tra le mura domestiche.
In tutti questi lavori si rivela una sensibilità per i valori intimi così ben espressi da una materia calda come il feltro, il filo, la stoffa, ma c’è anche un’altra strada tracciata dalle opere in mostra. Quella della realtà sociale e politica del nostro tempo. Come in H.a.a.r.p. 2 di Katia Volpe, che adottando il linguaggio della scultura, modella una colonia di cuccioli di pinguino dai colori sgargianti, innaturali. Pinguini geneticamente modificati per raccontare un mondo che sta pericolosamente manipolando la struttura più intima della natura, il suo dna.
O come nell’Onda anomala di Barbara Matera. Una corsa d’acqua sistemata nella scala d’emergenza della fabbrica, raggelata, ferma come ghiaccio. Un’onda di feltro che racconta le pericolose reazioni della natura ai nostri continui oltraggi. I disastri ambientali che stanno affliggendo il nostro tempo. Dagli effetti risaliamo alle cause con l’opera di Aurelie Chadaine, che narra di un mondo in declino quello dell’alta borghesia finanziaria del nostro tempo. Una tavola apparecchiata narra di una cena d’affari che sta per consumarsi o che si è già consumata sulle tavole del nostro tempo. I bicchieri e i piatti sono di carta, fragili e incerti, come il potere economico che ci governa.