Sabato 26 marzo, la galleria GiaMaArt studio presenta “altari” mostra personale di Marco Demis che raccoglie un ciclo di opere recenti, insistendo sul motivo delle sue aristocratiche vergini dalla pelle nivea e dagli eleganti abiti retrò.
Il suo non è un lavoro attorno all’identità - poiché le sue bambole ne sono prive – e nemmeno sulla serialità. Piuttosto, esse svolgono la funzione di simulacri, idoli che non rimandano ad alcun significato ulteriore.
Baudrillard definisce il simulacro (eidôlon) una “verità che nasconde il fatto che non ne ha alcuna", mentre a proposito delle sue bambole Marco Demis parla di una “intima fissità, priva di referente”.
Nella pittura di Marco Demis la propensione tonale si sposa con la tradizione del disegno, secondo una linea che da Botticelli approda fino a Modigliani. Le figure disegnate dall’artista sono, infatti, perfettamente contornate, con linee che impediscono al soggetto di sconfinare atmosfericamente nello spazio circostante. Si tratta di una sensibilità che risponde all’esigenza di mantenere i soggetti nel campo dell’idealità, in una dimensione impalpabile, epifanica.
Il meccanismo attorno al quale ruota il linguaggio di Demis è quello dell’evocazione, intesa come pratica che sottende un’impalpabile rete di connessione tra le cose, qualcosa che “chiama” l’invisibile nella struttura del visibile. Evocazione significa, infatti, “chiamare fuori” o meglio “chiamare da fuori” qualcosa che suscita un senso d’insopprimibile nostalgia. Come gli altari e le are sacrificali, le immagini dipinte dall’artista sono soglie dimensionali, ambiguamente sospese tra il mondo materiale e quello immateriale. In questo limen non vi è possibilità di narrazione, ma solo pura potenzialità. Guardando queste figure ci è impossibile immaginare un racconto, delineare un episodio. Demis sembra occultare ogni traccia biografica, ogni segno di vissuto, congelando la rappresentazione in una sfera perfetta quanto l’Empireo dantesco. E tuttavia, questo regno d’immobilità ieratica sembra subire ora una lieve increspatura. Qualcosa finalmente imprime un moto ai corpi. Una sottile vibrazione percorre le linee degli idoli e le posture divengono più plastiche, sinuose, le figure si ammorbidiscono e infine si avverte, come nel mito di Pigmaglione, un anelito a trasmutare il simulacro in carne viva.
GiaMaArt Studio
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