Eracle Dartizio - Copertina n.380

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Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.

Questa settimana è la volta di Eracle Dartizio.

 

 

Da dove vieni?

Sono nato nell’ottantanove, a Luglio, in provincia di Milano, a Vaprio D’Adda, un paese che ha meno abitanti di un centro commerciale la domenica.

 

Cosa fai?

Con l’arte colmo un vuoto. Ma un vuoto mio, che interessa a me, gli altri vengono dopo. Il pubblico viene dopo, la galleria viene dopo, il collezionista viene dopo. Eracle viene prima di tutto, anche di me stesso, che per superarmi mi sono dato un altro nome. All’anagrafe non mi chiamo Eracle

 

Dove stai andando?

La mia ricerca è rivolta al cielo, senza nessun significato ecumenico-cristiano del termine. Subisco la fascinazione poetica di oggetti astronomici e fenomeni cosmici e cerco di tradurli visivamente. Quindi l’intento è più estetico-rappresentativo che concettuale, se proprio volessimo trovarci un concetto, le mie sculture testimoniano una presenza assente, qualcosa che è ma non c’è, quanto meno non alla portata dei nostri sensi diretti. Insomma, hai mai visto una stella che muore? Ho iniziato ragionando a terra, scolpivo pozzanghere, successivamente mi sono concentrato sul riflesso, sulla porzione esatta di cielo che contengono. Ogni pozzanghera è un potenziale universo, un’imperfezione che genera vita.

 

Cosa vuoi?

Mi tranquillizza pensare che siano belle tanto da andare oltre o sprofondarci dentro, le mie opere intendo. Quindi vorrei che ci fosse bellezza, ma "sul bordo del bicchiere per prendere la medicina amara". Arte come superficie e Arte come taglio netto nella superficie, pretesto per riflettere e riflessione stessa. Vorrei essere questa verticale, che punzecchia lo sguardo, catalizza l’attenzione e infine fa pensare. Non ho intenzione di definire il soggetto di questo pensiero, l’opera deve rimanere sempre e comunque aperta, aperta alla lettura di chi la guarda. Di certo più pensiero ho dedicato ad un lavoro e più pensiero quest’opera contiene e trasmette. Mi piace spesso pensare a Fernando Pessoa, quando dice “sono la profondità del pozzo, senza le pareti del pozzo”. Ecco, vorrei che la mia arte fosse la profondità del pozzo, senza le pareti del pozzo. Che abbia al massimo pareti di vento, che fosse una giannetta gentile, fresca ma discreta. Non mi interessano venti forti, tornado o rivoluzioni, anzi, credo che ad oggi, nell'era della provocazione, l’unico atteggiamento veramente rivoluzionario per l'arte sia la gentilezza.

Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso

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