Poche domande, semplici e dirette, per conoscere un artista.
Questa settimana è la volta di Paola Angelini.
Da dove vieni?
Sono originaria di San Benedetto del Tronto, ho 32 anni. Ho studiato per circa quattro anni Pittura all’Accademia di Firenze, poi sono andata a Venezia, ho frequentato un corso allo Iuav, dove ho incontrato Bjarne Melgaard, un noto artista norvegese grazie al quale ho partecipato alla Biennale del 2011. Da questa importante esperienza ho fatto la prima personale ad Oslo e ho creduto, io per prima, dopo tante difficoltà e ripensamenti, di dovermi rassegnare all’idea di essere un pittore e continuare per questa strada. Perché la pittura prima arriva in maniera naturale e spontanea, poi diventa un sogno, poi si inizia a studiare e cercare di capire, poi arriva la vera scelta, e forse grazie a questa diviene un’identità.
Cosa fai?
Dipingo, e ciò significa tante cose ma anche la cosa più semplice.
Ho iniziato disegnando tanto, nelle ore di scuola, tra le spiegazioni di matematica e di latino al liceo. Aveva senso disegnare perché mi scandiva un tempo che non potevo stabilire io. Potevo così fermarmi e comporre un diario fatto di immagini del tutto inventate, mentali. Poi in accademia cercavo di dare una forma: sempre di più è arrivata la realtà, mi serviva la tangibilità delle cose per trovare un linguaggio.
Mano a mano ho capito che dipingere diventa oggi per me una ricerca che ancora scandisce un tempo, fatto di pensare, dormire, guardare, ma senza mai distogliere del tutto la testa dalla pittura.
Ciclicamente la cosa che si sta cercando con la pittura assume diverse motivazioni, forme e possibilità. A volte può essere il soggetto, che ossessiona e che non può essere lasciato, altre volte è la materia, altre volte la pittura diviene quasi oggetto, scultura, presenza. Tutto può rappresentare un’unica visione, o mille visioni che non hanno uno specifico concetto o fine, ma quello che rimane forse è la consapevolezza di non lasciare quello che si sta cercando, e tentare di nuovo, ancora, nel dipinto successivo.
Dove stai andando?
Questa è la domanda a cui proprio ora non saprei rispondere. Potrei dire che a volte è il lavoro a suggerirlo ma sarei una bugiarda. Non è cosi! Ho una personalità che non sa dimenticare il passato in genere, credo sia un difetto che sto affrontando proprio in questa fase. Decidere di darsi un futuro e poterlo vedere per me significherebbe proiettare una soluzione che mi ha già insegnato il mio passato, che per ora vorrei solo saper lasciare andare.
Cosa vuoi?
Credo di aver sempre avuto una sorta di inadeguatezza ad essere un pittore oggi, ma questi sono problemi che spesso derivano quando si guardano modelli sbagliati o quando le persone con cui interagisci non sanno leggere il linguaggio di cui ti stai occupando. La mia intenzione quindi sta mirando sempre di più ad andare alla radice di questa volontà e di questa scelta, cercando anche di acquisire sempre di più consapevolezza di quelle che sono le fasi, i cicli e le difficoltà nel fare pittura. Pensavo di dovermi costruire un’armatura, una corazza grazie alla quale resistere, invece forse nella complessità di questa ricerca c’è anche una qualche forma di serenità e fiducia. Ma questa ancora non l’ho ben focalizzata.
Quello che voglio quindi è semplicemente continuare a fare quello che sto facendo, in fondo credo sia una grande fortuna alzarsi e poter dipingere. Così per me soltanto un giorno è diverso dall’altro e così soltanto vedo le cose e forse molto più sinceramente cerco di indirizzare la mia esistenza che si compone di immagini e presenze.
Vorrei poi arrivare a saper rinunciare alla bellezza che trovo sulla tela, arrivare a saperla distruggere perché è ferma in me la consapevolezza che solo così potrò trovare quello su cui veramente si può lavorare.
Copertine settimanali di Lobodilattice a cura di Alex Urso