Batman, l’estetica del Gotico e del Sublime //// il Cavaliere Oscuro

Il fantasy, e il suo cinema, spostano continuamente i loro confini. Nel secolo scorso un gruppo di grandi scrittori ha dettato delle regole, poi il cinema le ha percorse mettendoci del suo, ma la base creata dalla carta era presente e garante. E nella fantasy occorre molta attenzione, perché si aprono spazi infiniti di contenuti, di invenzioni, che poi devi controllare perché ci si può smarrire, li devi armonizzare. È molto facile cadere dalla parte dell’eccesso e del grottesco. Ecco alcuni dei garanti, autori e romanzi: Herbert George Wells (“La guerra dei mondi”); Ray Bradbury (“Fahreneiht 451″); James Graham Ballard (“Crash”); Phlip K. Dick (“Blade Runner”); Arthur C. Clarke (“2001: Odissea nello spazio”); Ronald Reuel Tolkien (“Il signore degli anelli”); George Orwell (“1984″). E naturalmente la contemporanea J.K. Rowling (“Harry Potter”).

Evoluzioni, invenzioni, eccessi. Tutti concetti che il cinema supera tranquillamente, perché per lui vale soprattutto lo spettacolo. In questo contesto, Il cavaliere oscuro- Il ritorno assume una sua funzione, molto importante, perché ci sono grande spettacolo e successo. Christopher Nolan e David S. Goyer, sceneggiatori, Bob Kane e Bill Finger, creatori del fumetto Batman, non sono nessuno degli autori citati sopra, non hanno quella profondità e quella cultura, e probabilmente non vogliono neppure averla. A loro non interessa la verosimiglianza, non interessano i confini e se il film deborda, se le indicazioni sono sproporzionate, magari culturalmente grottesche, l’importante è che lo spettacolo ci sia e che i biglietti vengano venduti.

Analisi E dopo questa premessa è interessante un’analisi dell’opera, in chiavi diverse, compresa quella dell’ispirazione artistica – da arte seria magari – che non è stata ancora esplorata. L’orizzonte è vasto, e un nome da cui si può partire è Edmund Burke. È stato il primo a parlare di Sublime (1757) come sentimento in bilico tra bene e male, o meglio, il male che fa provare il bene. Non il bello ma l’”orrendo che affascina”, appunto. Il nuovo Batman, Il cavaliere oscuro- Il ritorno, inquadrato dunque nella sua funzione di spettacolarizzazione totale, non è per nulla un film “orrendo”, anzi. Christopher Nolan racconta, con stile sopra le righe e caotico, ma che fanno parte del gioco, la decadenza dell’uomo pipistrello sia in chiave umana, dunque dubbi e debolezze di Bruce Wayne, sia dell’eroe, con un perno centrale, Gotham City, intorno al quale tutto gira. La città in cui, dopo un’apparente calma e serenità (per pochi) cerca di imporsi un male assoluto, che tutto vuole distruggere per ottenere un’apparente disciplina figlia di un terrorismo estremo, il cui leader, Bane, l’uomo con la maschera sulla bocca, guida il popolo, facendolo credere oppresso.

Un tema sicuramente attuale come sfondo di vicende politiche, economico-sociali, allacciate al più “cool” tra gli eroi. Bruce Wayne, ritiratosi dal mondo dopo la morte della sua amata nell’episodio precedente, ha contatti solo con Alfred, il fedele e paterno cameriere, che, pur di non assistere alla decisione del padrone di rimettersi tuta e maschera e riprendere la vita pericolosa dell’eroe, lo abbandona sparendo, forse. Il Wayne umano, truffato nel business dai nemici, perde quasi tutto il suo patrimonio. Ma recupera la fiducia in se stesso e nella sua città, che vuole salvare. Ecco allora le immagini su cui Nolan ha tanto giocato: una Gotham City paurosa, a metà tra il fantasy perfetto e ridondante e una realtà che abbiamo già visto altrove: ponti che si polverizzano lentamente, grattacieli in fiamme, isolati che sprofondano, grigio assoluto. Nolan procede troppo seriosamente, in un ambito, quello di Batman, che dovrebbe contenere una parte di ironia, proprio perché il soggetto è un supereroe.

Abissale è la differenza tra il primo Batman televisivo (1966), quello in cui Adam West interpretava l’eroe in maschera. Una maschera che oggi fa sorridere per l’ingenuità, lo stile pop (era bellissima, grigia e nera, in tessuto), naif erano i mezzi con cui combatteva e i contesti semplici in cui lavorava. E poi nel 1989 avviene la rivoluzione con Tim Burton, che trasforma Batman e il suo mondo in un personaggio dark e più complesso, e gli affianca cattivi alla sua altezza, come Jack Nicholson che interpreta Joker al fianco di Batman – Michael Keaton. Dal tessuto alla gomma al lattice. Da mezzi semplici e rudimentali all’evoluzione della Batmobile e poi la Batmoto come mezzi super tecnologici, quasi magici, all’avanguardia. Da eroe del fumetto a icona estetica.

Importante Anche riscontrabile in arte. Ed è importante. Alcuni artisti contemporanei hanno giocato sul ruolo di Batman, dalle fotografie patinate, ma di efficace critica-sociale, di Gérard Rancinan, in cui l’artista mette in tavola un’intera famiglia perfetta americana, ma tutta mascherata dall’eroe americano (in contrapposizione con quella grassa e sfatta vestita da Topolino), per indicare che c’è qualcosa da nascondere. O ancora l’arte Low Brow (o Pop Surrealismo), quella sviluppata dal suo maestro Mark Ryden, che si può affiancare al Sublime contemporaneo in generale, per temi, perfezione estetica, ma grande inquietudine nel risultato, a cui aggiungerei un altro stile, proprio dei film su Batman, il Gotico. Dunque nomi contemporanei come Victor Castillo, Ray Ceasar, Camille Rose Garcia, o gli italiani sulla scia dell’illustrazione, come Bafefit, Loredana Catania, Shanti Ranchetti o Nicoz Balboa, che, sui suoi soggetti disegna sempre … una mascherina di Batman.

Tutto torna, anche l’illustrazione dunque, in artisti che riprendono perfettamente lo stile dark, in alcuni casi cupo, in altri falsamente sereno, che nel cinema riporta appunto al Gotico spesso timbro di Tim Burton, appunto. Divagazioni sull’estetica in arte, che possono concludersi con un’opera che sulla carta e per storia poco c’entra con la saga di Batman, ma che per impatto visivo fa pensare al tortuoso movimento (sia della città che di Batman stesso col suo mantello) e al grigio dell’ultimo cavaliere oscuro: Aconabiconbi di Bruno Munari, un’opera degli anni ’60 italiani di Arte programmata e cinetica, che poco ha di sublime e gotico, ma che esteticamente lo ricorda.

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