La fine della Seconda guerra mondiale non fu immediata. Non ci fu nessun ritorno istantaneo alla pace: decine di milioni di profughi, sopravvissuti e prigionieri rimasero in preda alla fame, alle malattie, alle vendette dei vincitori. Le macerie delle città bombardate rimasero dov’erano per anni, soprattutto nella Germania sconfitta. Il primo anno del dopoguerra segnò anche il culmine delle tensioni tra Truman e Stalin, mentre in Cina vennero gettate le premesse per l’ascesa di Mao; si affermò il Congresso Nazionale Indiano di Gandhi, mentre in Medio Oriente prendeva corpo l’idea di uno Stato d’Israele. Quando comincia una guerra e quando finisce? Quali sono le tracce che non si possono cancellare? Ogni guerra genera altre guerre?
Se c’è un periodo storico recente che assomiglia a come noi ci immaginiamo l’Apocalisse, questo è sicuramente quello che va dagli anni delle ascese dei fascismi in Europa, alla Seconda Guerra Mondiale.
Quindi il post-apocalisse è identificabile con l’immediata fine del conflitto, specialmente (ma non solo) nei paesi sconfitti.
La Germania, per oscuro vaticinio del suo stesso dittatore, aveva vissuto un vero e proprio crepuscolo degli Dei. Berlino, in particolare, era capitolata pietra su pietra, invasa dai temutissimi sovietici, che hanno fatto della capitale del Reich una distesa di rovine.
I berlinesi sopravvivevano di stenti, trasformandosi in quello che alcuni storici chiamano “il popolo-ratto”, dalla loro necessità di vivere tra i resti della città devastata, cibandosi di rifiuti.
Ma non solo la Germania subì un durissimo dopoguerra.
Il Giappone fu “americanizzato”, ma salvò in parte l’onore, evitando l’abdicazione dell’Imperatore, trasformato però in uno strumento nelle mani del generale MacArthur.
L’Europa dell’Est subì il dominio imposto da Stalin. I partiti comunisti locali vennero insediati al potere, anche quando avevano soltanto una minoranza delle preferenze alle urne. Oscuri burocrati, fantocci nelle mani del Cremlino, operarono una spietata de-nazificazione di Ungheria, Ucraina, Polonia, paesi Baltici e di tutte le altre, nuove, repubbliche socialiste.
Molti furono i deportati e i morti.
Questi e altri retroscena vengono raccontati nello splendido saggio dello storico ungherese Victor Sebestyen, che esamina minuziosamente quell’anno di tragica transizione che fu il 1946.
Un anno importantissimo, perché ha posto le basi di quello che, ancora oggi, è il nostro mondo. Anche se l’Unione Sovietica non esiste più, nel secondo dopoguerra nacquero entità geopolitiche tuttora esistenti, su di tutte lo stato di Israele. Senza dimenticare le varie repubbliche arabe e persiane, che per buona parte del conflitto simpatizzarono con la Germania nazista.
Saggio imprescindibile per chi ama i capitoli meno conosciuti della nostra storia recente, 1946 è pubblicato per l’Italia da Rizzoli. Costa un po’ (28 euro, 9,99 euro in formato Kindle Amazon), ma è una bella lettura.
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