Zachary Bramwell, meglio conosciuto come il fumettista Zak Zap, è prossimo ai quaranta e si chiede perché la sua vita non è così eccitante come quella dei supereroi che disegna.
Un giorno Zak viene sequestrato da dei tizi vestiti di nero e viene trasferito in volo sul Monte Meru, un vasto complesso costruito su un’isola delle Maldive. Lì il fumettista incontra un trio di tycoon miliardari, tre ambiziosi miliardari che lo vogliono ingaggiare come designer dei costumi di un gruppo di individui dotati di superpoteri, basati sui dieci avatar di Vishnu della mitologia indù.
I Dieci Avatar si troveranno presto coinvolti in una lotta senza tregua con demoni e alieni, al punto che solo loro sembreranno in grado di salvare il mondo da una devastazione tanto imprevista quanto repentina.
Ma la loro presenza è di per sé un presagio di apocalisse. La vedica “quarta età” della civiltà, il Kali Yuga, sta volgendo al termine, e Zak ha un posto in prima fila per assistere alla guerra finale.
Dopo qualche mese torno a occuparmi di un autore di cui ho parlato spesso su Plutonia Experiment, vale a dire James Lovegrove.
Col suo ciclo del Pantheon, Lovegrove ha dato un bel contributo allo svecchiamento dell’urban fantasy e ha aggiunto nuova linfa alla fantascienza militare, bypassando i vecchi schemi in stile “space marines contro insettoidi alieni”.
Nei libri di questo ciclo narrativo Lovegrove ha letteralmente resuscitato i vecchi dei di molti pantheon pagani, mettendoli a confronto con più versioni ucroniche della nostra civiltà.
Age of Shiva è una storia ancor più particolare, perché s’incrocia con un altro filone della speculative fiction, vale a dire quello supereroistico. Il protagonista (—-> spoiler—> destinato a sua volta a diventare un supereroe) è nientemeno che un disegnatore di fumetti. Il che pone una questione metanarrativa al romanzo, che poi procede in maniera scoppiettante, con tanta azione e con gradevole ironia british, come spesso accade nei libri di Lovegrove.
Aver attinto alla mitologia indù, trasferendola su dinamiche occidentali, non era semplice, ma l’autore è riuscito a farlo, dando vita a una storia che sa molto di “fumetto romanzato”, senza però i nonsense narrativi di tante collane supereroistiche. Ci sono colpi di scena, battaglie epiche, tradimenti e tecnologie mirabolanti al servizio di individui straordinari. Tutto i menù “eroi”, ma ben assortito.
Anche in questo caso Lovegrove sceglie la formula autoconclusiva. Il suo romanzo ha un inizio e una fine. Una rarità, in tempi in cui la letteratura del fantastico predilige saghe infinite.
Ovviamente non vedremo nulla di tutto ciò sul mercato italiano, quindi questa recensione (come le altri riguardanti Lovegrove) è destinata a chi mastica l’inglese.
Purtroppo le cose vanno così, salvo auspicabili cambiamenti. Peccato, perché sono convinto che questo autore saprebbe conquistare la sua fetta di affezionati anche nel nostro paese, come è successo (per esempio) col primo James Rollins.
Se volete, ecco le mie altre recensioni della saga Pantheon.
Age of Aztec (di James Lovegrove)
The Age of Odin (di James Lovegrove)
The Age of Zeus (di James Lovegrove)
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