Le Alpi, per esempio: si fa fatica a considerarle luoghi della storia, se non per qualche ricaduta secondaria e involontaria, effetto collaterale verrebbe da dire. O solo perché qualcuno di tanto in tanto - da Annibale a Napoleone - le ha attraversate con qualche indubbia conseguenza a valle.
E invece le Alpi - e in genere la montagna - andrebbero inteso non solo come terre marginali e come barriere naturali - tanto più che sono sempre state anche luogo del movimento, dello scambio, dell'incontro, non solo confine.
E in ogni caso c'è anche una storia che è altra e che appartiene a queste vette. La racconta splendidamente Enrico Camanni - alpinista e giornalista - nel suo Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza, utopia (Laterza editore). Titolo che già dà il senso di quale storia altra si parli: una storia raramente scritta al contrario di chi la storia la fa davvero. Storia che parla il linguaggio della possibilità, della libertà, persino dell'utopia. Storia di resistenza che non è solo quella contro i nazifascisti, ma è resistenza di idee, di convinzioni religiose, di riti e traduzioni, di comunità cacciate via dalle terre basse.
Dal Medioevo ai giorni nostri - spiega Camanni - come una risorgiva carsica che emerge dalle profondità del tempo, la montagna ogni tanto si ricorda di essere diversa e fa sentire la sua voce fuori dal coro.
E tutto questo racconta Camanni, in un libro che è anche un bel libro di viaggio attraverso le montagne e le parabole di vita che con le montagne si sono intrecciate.
Tuttora - dice - si alza il grido di chi rivendica una diversità geografica e culturale, compiacendosi dell'antico vizio montanaro di sentirsi speciali e ospitare i diversi, i ribelli, i resistenti, gli antagonisti, gli eretici, per diventare rifugio e megafono della anime libere e contrarie.
E io ho teso l'orecchio e ascoltato questo grido. Spero che la montagna dei trafori, delle ovovie, dello shopping non abbia spento questo grido, anzi, che lo abbia reso più forte e più gonfio di ragioni.