Belle le opere esposte in Triennale a Milano presso il DesignCafè fino al 31 marzo. Si tratta degli ironici e un po’ cruenti lavori scultorei di Massimo Giacon, l’artista illustratore e fumettista (oltre che musicista e performer), che espone dei colorati Toys in un percorso dal titolo The Pop will eat himself, dove un “him” sostituisce quel corretto “itself” che avrebbe avuto un senso, ma meno profondo. Dunque il pop mangia se stesso, come lavoro vivente che parla da se. Come le opere in mostra riescono a fare, in un breve e lineare, ma denso cammino, con accompagnamento sulle pareti di disegni e bozzetti, per riconoscere la mano da cui questi piccoli “giocattoli” provengono.
“Triennale Design Museum presenta una selezione di sculture in ceramica di Massimo Giacon, edite da Superego editions: una “famiglia” di colorati, mostruosi e grotteschi personaggi scaturiti dalla fantasia dell’eclettico e poliedrico fumettista, illustratore, designer, artista e musicista di origini padovane.
Il progetto nasce da una mostra realizzata alla fine del 2006. Inizialmente i personaggi non erano pensati per essere delle ceramiche, ma semplici immagini bidimensionali che, partendo da schizzi e progetti, diventavano tridimensionali virtualmente, mediante un programma di modellazione 3D.
Racconta Massimo Giacon: “The Pop Will Eat Himself è un errore. Nel senso che, per chi conosce abbastanza bene l’inglese, la frase corretta sarebbe: The Pop Will Eat Itself, e la traduzione suona così: Il Pop Mangerà Se Stesso. Come mai questo errore? Se consideriamo al pop come a un’entità astratta it è la giusta definizione, ma se noi pensiamo al Pop come a una specie di divinità pagana moderna, him diventa un suffisso più calzante. Il perché di questo pedante cappello introduttivo è presto detto: nelle titolo è nascosto spesso il senso dell’opera, e le mie ceramiche Superego raggruppate sotto questo titolo nascono da lontano. In realtà all’inizio non dovevano nemmeno essere delle ceramiche, lo sono diventate per caso. All’inizio dovevano essere delle opere figurative aventi come soggetto dei giocattoli malati. Per intenderci anche qui esiste una sottigliezza linguistica, perché uno può prendere l’aggettivo “malato” come un giudizio qualitativo, stilistico, mentre in realtà intendevo costruire un universo parallelo di giocattoli “ammalati”. Ammalati di cosa? E perché? I miei giocattoli sono ammalati di noi, come dei moderni martiri, subiscono la nostra corruzione e il nostro malessere, e ci guardano con aria dolente dai fogli delle mie stampe, dai miei disegni su carta, chiedendosi cosa mai è successo, e perché le cose sono andate così malamente. Sono personaggi pop, e allo stesso tempo sono anti-pop, e forse era destino che uscissero dai disegni bidimensionali per diventare degli oggetti tangibili, come se non riuscissero a rimanere confinati in un ambiente così angusto. Diventando oggetti perdono forse un po’ delle loro angosce, magari trovando dei collezionisti che li porteranno a casa e che li ameranno per quello che sono, nonostante quel che sono. Siete pronti a giocare con dei nuovi amichetti?”