«I sogni ci salvano. I sogni ci elevano e ci trasformano. E sulla mia anima, giuro, che finché il mio sogno di un mondo dove dignità, onore e giustizia diventino la realtà che noi condividiamo, non smetterò mai di combattere. Mai.» (Superman in Action Comics #775 – 2001 – “What’s So Funny about Truth, Justice & the American Way?”)
Già qualche mese avevo scritto un articolo a proposito della presunta messa al bando degli eroi “positivi” dalla narrativa e dal cinema di genere. Il post in questione è Cosa ci insegnano gli eroi.
Rileggetelo, se vi va.
Non tornerò sull’argomento, perché la mia idea in merito non è affatto cambiata. Però, visto che sono recentemente tornato a scrivere le storie dei (super)eroi di Due Minuti a Mezzanotte, volevo spendere giusto due parole sull’argomento.
Ho pubblicato Sibir – la Trilogia con la consapevolezza che sarebbe stato complicato a venderlo ai miei lettori, abituati a racconti e romanzi horror, o steampunk.
In più di un’occasione mi è stato fatto notare che la letteratura di supereroi (moderni o pulp che siano) “non è fatta per gli italiani”. Negli Stati Uniti va benissimo, ma quella è la patria dei giustizieri mascherati e dei mutanti vestiti in spandex.
O almeno così dicono.
Lo dicevamo anche qualche giorno fa, parlando di quell’interessante film italiano che pare essere Lo chiamavano Jeeg Robot: molti sostengono che queste “robe qui” non appartengono al nostro bagaglio culturale.
Strano, visto che il grande e meritato successo di Zerocalcare è dovuto in parte anche alla moltitudine di citazioni “nerd” di cui riempie le sue storie di vita vissuta. Non saranno strettamente supereroi, ma Kenshiro, i combattenti di Street Fighter e i personaggi di Star Wars (tanto per citare le “maschere” più omaggiate da Michele Rech/Zerocalcare) sicuramente possono entrare in una sorta di gruppo allargato.
Nel vecchio articolo elencavo una serie di opere – film e fumetti – supereroistici che in realtà appartengono di buon grado a filoni della fantascienza che anche a noi italiani piacciono molto. Sicché la differenza (in negativo) la fa la presenza di un eroe o di un cattivo che indossa una maschera o un costume?
A quanto pare sì.
Forse la trasposizione cinematografica di alcuni fumetti, giocata su un trend abbastanza scanzonato e leggero, ha dato erroneamente da pensare che il “supereroe” sia un soggetto per ragazzini.
Non a caso vedo più attenzioni trasversali per il Batman di Nolan, che con la sua cupezza ha fatto di tutto per non apparire affatto come una storia di tizi in costume dotati di qualità e talenti fuori dall’ordinario.
Chissà, magari aveva ragione il buon Christopher, almeno a livello di marketing.
Il problema principale del lettore italiano è sempre quello di scrollarsi di dosso quella voglia di realismo, quel desiderio di vivere l’ennesima, misera storia di quarantenni cresciuti mali, divisi tra faccende d’amore malate e disoccupazione.
C’è poi una mancanza di senso della storia e del passato.
Che c’entra?, direte voi.
C’entra eccome. Le storie di supereroi sono fortemente legate alla storia, alla cultura, al DNA sociale e politico di un paese.
E forse noi non ne abbiamo uno.
Siamo ancora la nazione dei campanili, dei comuni, dei neri contro i rossi, dei terroni contro i polentoni.
E, soprattutto, siamo un popolo ignorante, che non comprende fatti ed avvenimenti più vecchi di qualche settimana.
Non siamo ancora pronti.
Non sono ancora pronti.
Ma noi autori ci proviamo lo stesso.
(A.G. – Follow me on Twitter)
Segui la pagina Facebook di Plutonia Experiment
Archiviato in:fumetti, riflessioni, scrittura