Si può fare a meno delle “rotture di scatole”, ma non delle scatole. Almeno così ci fa pensare la mostra di Giuseppe Buffoli sviluppata da The Workbench a Milano, curata da Samuele Menin. Scatole come doni “portatici da Babbo Natale”. Doni da scartare per visualizzarne il contenuto – in questo caso una selezione di opere “storiche” di Buffoli (Hand Job, 2013; i vetri di Zenit, 2011 …) con riportati i progetti sulle pareti – ma anche doni solamente da ammirare nella loro apparentemente semplice forma di scatola. Scatola e opera hanno sia funzione che pura estetica: “non solo atte a contenerle e proteggerle, ma a divenirne completamento, una seconda pelle con una propria identità di opera” – scrive Menin.
Buffoli gioca e stupisce lo spettatore: la sua ricerca dell’equilibrio, la sfida contro la forza di gravità, i cambiamenti di stato naturale, vengono racchiusi in scatole misteriose, come quelle di Roentgen (1700) ma assolutamente contemporanee per lo scopo e l’uso di legno Ikea. Il contenuto viene avvolto dal contenitore, che risulta altrettanto interessante.