Mi sono rivisto Gli Argonauti, il film del 1963 di Don Chaffey, noto soprattutto per i fantastici effetti speciali curati dal maestro Ray Harryhausen.
Il film è tratto dalle Argonautiche di Apollonio Rodio, ma si prende ampie libertà rispetto al poema epico scritto dall’erudito in questione. Tuttavia tra pellicola e poema c’è una certa affinità di lettura per quanto concerne la caratterizzazione dei protagonisti principali e secondari.
Il film è un bel gioiellino, che risente meno di altre pellicole il trascorrere degli anni (e oramai cominciano a essere davvero tanti). Certo, c’è un abisso a livello di stile recitativo, rispetto alle pellicole fantasy di oggi. Ed è proprio su questo punto che voglio ragionare nel post di oggi.
Non mi permetto di fare critica cinematografica, perché non è il mio settore di competenza. Però ho un cervello funzionante, quindi lo metto in moto anche quando guardo i film.
Lo so, sembra bizzarro.
Innanzitutto vediamo di tracciare i contorni della faccenda.
Dopo che Pelia usurpa il trono della Tessaglia assassinando il re Aristo e le sue due figlie, una profezia gli viene rivelata: il suo regno finirà per crollare per mano dell’unico figlio maschio di Aristo; una volta cresciuto, il piccolo Giasone tornerà a reclamare il trono.
La profezia prevede anche che Pelia stesso muoia per mano degli dèi al suo eventuale tentativo di uccidere Giasone, unico discendente reale rimasto.Vent’anni dopo gli dèi danno l’opportunità a Giasone di salvare la vita all’anziano Pelia, che riconosce l’avverarsi della profezia, ma non rivela la sua identità al suo salvatore, preferendo invitarlo a pranzo come ringraziamento.
Per allontanare il pretendente, Pelia incoraggia Giasone a intraprendere un grandioso viaggio ai confini del mondo conosciuto alla ricerca del mitico vello d’oro, un manto dorato di montone dai poteri magici che avrebbe donato prosperità e ricchezza alla popolazione della Tessaglia.
Questo citando da Wikipedia.
Quindi, ricapitolando, Giasone deve vendicare il padre e sconfiggere Pelia l’usurpatore. Per farlo viene mandato dalla Dea Era a rubare una reliquia divina che appartiene a una terra lontana e pacifica, la Colchide. Non proprio un gesto nobilissimo, ammettiamolo.
Comunque sia, Giasone accetta la missione e mette insieme una squadra coi migliori combattenti della Grecia. Punta di diamante dell’equipaggio è senz’altro il semidivino Ercole, il più grande eroe vivente.
Lo stesso Ercole che, alla prima sosta della nave per fare rifornimenti, irrompe in un deposito abbandonato, ma chiaramente consacrato agli Dei, risvegliando così il titano bronzeo Talos, che rischierà di uccidere gli Argonauti e di far fallire la missione in tempi da record.
Eroe sì, ma poco furbo e assai borioso. Tra l’altro il suo gesto sconsiderato causa la morte del suo amico Ila (inizialmente dato per disperso), evento che convince Ercole ad abbandonare l’equipaggio per rimanere sull’Isola del Bronzo.
La seconda tappa degli Argonauti è all’isola dove vive l’indovino Fineo. Solo che il grand’uomo ha offeso gli Dei, che l’hanno condannato a una pena che oggi definiremmo dantesca: cieco e debole, si vede ogni giorno torturato dalle arpie, che gli sottraggono il cibo, lasciandolo sopravvivere dei soli avanzi.
Bisognosi come sono delle sue doti da veggente, gli Argonauti affrontano le arpie e liberano Fineo da questo fastidio. Cosa che, come è facile intuire, è una sfida diretta al giudizio degli Dei.
Il viaggio di Giasone prosegue tra isole meravigliose e pericoli immani. Solo l’intervento ripetuto della Dea Era lo salva più volte da morte certa, in un’occasione facendo intervenire Poseidone in persona (in una delle scene più riuscite del film).
Alla fine, senza farla troppo lunga, gli Argonauti arrivano nella Colchide, accolti come ospiti graditi, tranne per il fatto che le loro intenzioni ladresche vengono subito svelate a Re Eeta che – giustamente – li fa imprigionare per proteggere il Vello d’Oro, che da tempo garantisce prosperità e benessere al suo regno.
Non vi racconto il finale del film, ma probabilmente lo conoscete già.
La sostanza del discorso è questa: gli Argonauti sono eroi fallibili e di non solidissimi principi morali. Sono un po’ pirati, un po’ ladri, un po’ blasfemi.
Coi criteri attuali li definiremmo “eroi pulp”, o forse addirittura antieroi.
Una bella differenza, se paragonati coi protagonisti moderni di tanti film e romanzi fantasy. Oramai il protagonista standard di certe opere è il “ragazzo predestinato”, bello, buono, di indole docile, ma capace di trasformarsi in un guerriero valoroso dopo aver scoperto di avere una missione.
I personaggi femminili sono anche peggio: eroine insicure e con pochi amici, che si lanciano tra le braccia del primo vampiro che passa, unica creatura in grado di amarle, o quantomeno di trattarle come consenzienti concubine.
Tutto sommato preferisco ancora Giasone, e perfino l’Ercole del film sugli Argonauti, pur nel suo comportarsi da sciocco borioso.
Voi che ne dite?
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