Ex Machina

Difficilmente parlo di film su questo blog.
O meglio: non lo faccio più da qualche tempo, mentre prima abbondavo in recensioni, sia di pellicole vecchie che di nuove uscite.
Questa scelta è parte della ristrutturazione di Plutonia Experiment che, come vedete da mesi, non è più un blog che si occupa di critica letteraria, cinematografica o fumettistica. C’è già un’abbondanza di youtuber e blogger che si occupano di queste cose e francamente cerco di dare, nel mio piccolo, altro genere di suggestioni a chi ha la pazienza di leggermi.
Mi piace tuttavia tornare a parlare di film o di libri quando c’è la possibilità di legarli a discorsi più ad ampio respiro. Questo vuol dire non inseguire il titolo del momento, né cavalcare la critica feroce che va di moda, di settimana in settimana. Parlare di film e di libri vecchi non ha molto senso, in termini di visite e di interazioni, tuttavia non rincorro più queste cose da anni e vivo i mio lavoro decisamente meglio.
Finito questo preambolo spendo volentieri due parole per un film entrato a far parte del catalogo Netflix, e a mio parere molto interessante: Ex Machina.

Caleb Smith è un giovane programmatore che si aggiudica la possibilità di trascorrere una settimana nella casa in montagna di Nathan Bateman, l’amministratore delegato della società per cui lavora, BlueBook. Nathan gli rivela subito che la sua casa non è altro che un grande laboratorio di ricerca dove da solo ha progettato e costruito una macchina umanoide dotata di intelligenza artificiale di nome Ava.

Caleb è stato scelto, attraverso un concorso, per collaborare all’esecuzione del test di Turing per capire se l’umanoide abbia una vera intelligenza e coscienza di sé. Il giovane programmatore inizia subito il test, incontrando il robot dalle sembianze femminili e cominciando a parlarci, sorprendendosi di quanto sia intelligente, sensibile e simile a un essere umano.

Non si tratta, come capite da questo stralcio di trama, di una storia di un’originalità sconvolgente.
Tuttavia il tema delle IA (intelligenze artificiali) è sempre molto affascinante, specialmente se lo si guarda dal punto di vista antropomorfizzante della questione.
Come fa notare uno dei protagonisti del film, il CEO di BlueBook nonché creatore di Ava, sarebbe inutile sviluppare una vera IA dandole l’aspetto di uno scatolone parlante. Che stimoli potrebbe avere? Quali interazioni potrebbe cercare con l’essere umano, non trovando alcuna affinità estetica, e quindi non avendo alcun motivo per condividere gli stessi spazi/gesti/desideri?
Ora, che questa cosa sia vera o meno, non ve lo so dire (pare di no, eh), ma è comunque uno spunto di riflessione non banale.

Forse è per questo che molti registi e scrittori danno un aspetto umanoide alle IA delle loro storie. Spesso si tratta di un aspetto femminile, tra l’altro, come nel caso di Ex Machina.
Il film pone anche l’attenzione su una delle classiche questioni in merito alle intelligenze artificiali: quanto dei loro comportamenti è reale, e quanto imitazione, finzione?
Non potendo misurare scientificamente la veridicità di un’emozione, si può solo procedere per test, ma senza giungere a una risposta scientificamente inoppugnabile.

Un altro aspetto interessante di Ex Machina è l’inevitabilità che il regista (Alex Garland) lascia trapelare, sempre per bocca di Nathan, ovvero che prima o poi le IA diventeranno una realtà, e che da lì a breve esse si porranno come step evolutivo del genere umano. Che lo facciano in modo integrativo o sostitutivo è tutto da vedere.

Un giorno le IA considereranno l’uomo come noi oggi consideriamo gli scheletri fossili delle pianure d’Africa.

Il che è alquanto inquietante, ma in un certo senso meno terribile del nostro presente, se ci pensate.
Svegliarsi ogni giorno con la notizia di attentati e di massacri, quasi sempre generati da futili motivi (religiosi o politici – per me sono futili entrambi), genera qualche perplessità riguardo alla nostra presunta superiorità sul resto del creato.
Anche qui, sarebbe da vedere se le IA, simulando l’essere umano, ricorrerebbero a soluzioni radicali per estinguere il problema.

Mi è anche stato detto che in realtà gran parte delle ricerche attuali sulle IA va in direzione opposta, ovvero slegando le medesime da un concetto antropomorfo e sensoriale. Si torna cioè al concetto di “scatola intelligente” (banalizzando all’estremo), che porrebbe le nostre IA su un piano d’esistenza lontano da qualsiasi apparentamento fisico con noi umani bipedi e sessuati.

Non ci resta che aspettare e vedere che accadrà.

Nota a margine: se volete leggere delle ottime storie a base di IA, vi consiglio il ciclo di Le Storie di Perfection, del mio amico Germano. La trovate in formato ebook. Al momento conta due volumi: Perfection e Starlite. Ottima fantascienza made in Italy, ma dal sapore internazionale.


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