Caro Carlo Chatrian,
mi sento di scriverle perché il suo festival quest’anno ha molto rappresentato, in tante chiavi. Per cominciare complimenti per il successo, mediatico. Non si era mai parlato e scritto tanto di Locarno come quest’anno. La ragione è, sappiamo, il “film scandalo” –chiamiamolo così- di Pippo Delbono, con Giovanni Senzani. Conosco i meccanismi della comunicazione, conosco le regole del cinema e la difficoltà del cinema dell’era recente, soprattutto di quello italiano, di promuoversi, semplicemente perché è costretto, quasi sempre, a promuoversi senza possedere valori e qualità. E conosco le necessità di un festival, che sono quelle di farsi notare e raccontare, appunto. Col “Sangue” lei ha ottenuto intere pagine sui quotidiani, e centinaia di servizi su tutte le testate, del web, della carta e della televisione. Mi domando se il prezzo che ha dovuto pagare ne valesse la pena. Il prezzo è quello di aver divulgato e accreditato un’”opera”così volutamente, malamente mirata, guastatrice e senza qualità. Quando Senzani ha ri-rivendicato l’assassinio di Peci da vero professionista della comunicazione e del crimine, sembrava proprio aderire a precise indicazioni di regia e di spettacolo: “sii durissimo, non dare segnali di pentimento, fatti odiare da tutti.” Le “opere” come “Sangue” appartengono alla cultura e alla moda del nostro tempo, lo sappiamo. Devi farti vedere in tutti i modi, inventarti tutti gli estremi possibili, di provocazione, di violenza, di antagonismo. Naturalmente lo fa chi non ha il talento per le opere vere, quelle nate per dare l’ indicazione nobile e naturale dell’arte e del racconto, che è quella –ideale certo- di puntare alla bellezza e a cambiare il mondo, migliorandolo.
Una sede come il suo festival, così importante, si assume le responsabilità di conseguenza. E guardi, Chatrian, che non parlo di censura. La censura è comunque il peggio, peggiore persino dei film di Delbono. Ma dico che a quell’”opera” si addiceva una divulgazione diversa, quella underground, di nicchia, con l’utenza che condivide il percorso “trasgressivo” –diciamo così- di quell’autore. Utenza in forte minoranza, per fortuna. Lei, Chatrian, perché ha dato una così alta legittimazione attraverso la sua piattaforma che ha la potenza di legittimare? Perché non ha lasciato che i due rimanessero nel loro bacino, triste e ristretto, e sorpassato?
Una considerazione: perché questi film non vengono mai firmati magari da un parente di Peci o di un assassinato, ma sempre da qualcuno dall’altra parte. “L’altra parte” è quella di alcuni che inquadrano le Brigate rosse e gli anni di piombo, e tutti i morti di conseguenza, come un magnifico ed eroico momento storico. E molti testimoni delle testate leader, gente competente che non può non aver rilevato il trucco squallido di “Sangue”, spesso forzati progressisti, hanno applicato al film una griffe che a me sembra un disimpegno prudente: “provocazione culturale”. Insomma direttore, magari obtorto collo, le hanno dato una mano. Sono stati suoi sbiaditi alleati.
Senzani ha rivendicato con orgoglio che le B. R. lottavano per le idee giuste. Il suo delitto non è un crimine, ma il fine, il compimento legittimo dettato da un’idea sacrosanta. Delbono ha dichiarato che da piccolo giocava con le bambole… poi ha aggiunto “mi accusano di fare pornografia del dolore (…) la vera pornografia sta altrove, in Tv, nel cinema, nel teatro, nella politica, nell’arte, nella religione, in un Paese che vive nella menzogna e teme di giudicare e capire il passato, teme la verità.”
Eccola la verità, quella di Senzani e di Delbono, di un autore oppresso da zavorre così pesanti e che odia il mondo, e da un assassino che ancora si compiace di esserlo. Adesso abbiamo questi due come fari e modelli. L’indicazione, che non è solo implicita, è che alla fine loro sono nel giusto e sono migliori di tutti noi “che temiamo la verità”. Per concludere non posso non rifarmi al solito stucchevole concetto della responsabilità dei divulgatori. “Quei due” non esisterebbero se i palcoscenici e i media non li facessero esistere. Lei ha fatto molto per loro, ha fatto troppo. Ma è un nodo da cui non si esce. “Media” sono anch’io, e faccio autocritica, ma almeno non faccio di Delbono&Senzani due eroi. Dico semplicemente: lasciamoli perdere. Lei, direttore, ha una storia seria e importante. Mi chiedo: perché lo ha fatto? E sarei davvero lieto che lei, più avanti, dicesse che sì, un po’, le dispiace. Pino Farinotti