i FRATELLI COEN a NEW YORK //// a Proposito di Davis

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di Pino Farinotti (Mymovies, 9/2/2014). Nel 1961 a New York si smarrivano gatti, rossi,
importanti. Uno veniva dalla penna di Truman Capote e apparteneva a Holly Golightly, meglio conosciuta come Audrey Hepburn che allora faceva colazione davanti alle vetrine di Tiffany. L’altro era di certi amici di Llewyn Davis, triste e talentato cantante folk, protagonista di A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis))Il film è a colori, ma è di fatto in bianco e nero. Neppure i Coen fanno prigionieri: le autostrade, le città, i villaggi, le campagne, mai che siano illuminate da un raggio di sole. La neve si impenna violenta. Il cantante gira in cerca di un rifugio, con la valigia e la chitarra, con una giacchetta leggera, nella neve, nel fango e nel buio.

1961|Quel 1961 è interessante. L’immagine che promuove il film, che mostra il cantante che cammina per New York col gatto in braccio, può rimandare a un’altra, popolare, accreditata, di James Dean che cammina, poco elegante, con sigaretta, per New York. Ma trattasi solo di parentela estetica. Dean era a New York dieci anni prima. Nel pieno del trionfo di quel  luogo, l’ho raccontato la settimana scorsa, omologando la città ad altre della storia:  “Senza tornare all’Atene di Platone, alla Roma di Augusto, o alla Firenze dei Medici, certo valgono analogie con la Londra vittoriana,  la Vienna fin de siècle, con Weimar o con la Parigi degli anni venti. Ma senza quelle divisioni di classi, che non è un dettaglio.” Il 1961 era tutta un’altra storia. Era l’alba dei grandi cambiamenti, e non indolori, anzi pieni di dolore: Kennedy, nominato nel film, sarebbe stato assassinato poco dopo, così come suo fratello Bob, così come Luther King, profeta dei diritti civili, che aveva reso obbligatoria l’iscrizione dei neri nelle liste elettorali. Era il decennio degli universitari di Berkeley, del pugno alzato degli atleti americani alle olimpiadi di Città del Messico. Soprattutto irrompeva una parola chiave, un sortilegio maledetto: Vietnam. Nel 1961 l’amministrazione cominciò con inviare laggiù 15.000 uomini, che sarebbero diventati 700.000 dopo il ’68. Per aumentare esponenzialmente nei Settanta, fino alla fine del conflitto, invocato da tutti, nel 1975. Tutto questo sembra insediarsi e segnalarsi a priori, negli occhi sempre smarriti di Davis, che gira col suo gatto rosso che perderà, e saranno altri a ritrovarlo, perché lui non sa compiere, portare a termine.  

I Coen tornano quelli di una volta, quelli di “Lebowsky” e di “Fratello dove sei”. A mio giudizio sono, con Wim Wenders gli “artisti di cinema” che sanno avvicinare quella disciplina alle arti più nobili. Sanno usare le immagini e sono scrittori veri. E ricercano continuamente. Basta un focus sulle differenze: fra “Non è un paese per vecchi” che ha dato loro un Oscar forse improprio –l’avrebbero meritato per altri film, magari quelli citati sopra- e poi Burn After Reading, grottesco/contorto stracolmo di divi (Clooney, Pitt, Malkovich, Swinton), quindi A Serious Man, storia senza potenza di un altro irrisolto. E poi Il Grinta, evocazione western di un vecchio mito, in chiave soprattutto estetica. Ed ecco questo “Davis”, senza sfarzo, a basso budget e senza divi, ma pieno di incanto e di sostanza: grande forza e grande  espressione, tenute nei confini della verità e dell’essenziale. In pochi, pochissimi sanno farlo.

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