Ho trascorso almeno quindici anni a giocare intensamente di ruolo.
Chi mi legge da tempo lo sa. Sono stato un master di Advanced Dungeons and Dragons, di Uno Sguardo nel Buio, de Il Richiamo di Cthulhu, di Fading Suns e di un’altra dozzina di sistemi appena assaggiati.
Io e la mia squadra ci sedevamo al tavolo alle 14 di ogni sabato e tiravamo le 18 affrontando draghi, non-morti, trappole e sortilegi.
D’estate giocavamo anche durante la settimana. Due, tre, perfino quattro volte. Il tempo volava, ci divertivamo un casino.
Alcuni nostri coetanei scuotevano la testa. Loro l’estate la trascorrevano in piscina, o nei campetti di calcio. Qualcuno scorrazzava in motorino tra giostre e pub.
A noi andavano bene i nostri dadi, le schede personaggio, i manuali di gioco.
I più non capivano cosa c’era di tanto divertente in un’attività del genere. Qualcuno tirava in ballo parole come “diseducativo” e “innaturale”.
Il papà di un mio amico diceva che sarebbe stato preferibile andare per le prime volte a donnine (avevamo 14 anni quando avanzò questa teoria educativa).
E ci aveva anche provato, a portarci “a caccia” sulla tangenziale, senza riuscirci.
Sono passati, bah, undici anni dalla mia ultima partita a un gioco di ruolo.
Il mondo è cambiato, ora si fa quasi tutto online, GDR compresi.
Ultimamente – e intendo dire in queste settimane – il mondo impazzisce per il nuovo gioco Pokémon Go, una specie di revival via applicazione per cellulare di una delle grandi mode degli anni ’90.
I Pokémon, appunto.
Questo gioco spinge i partecipanti a cercare le fantomatiche creature in giro nel mondo reale, spesso con eccessi tragicomici.
Di Pokémon Go stanno parlando tutti, spesso con un qualunquismo imbarazzante.
Ora, una premessa: preferirei trascorrere il mio tempo fissando le crepe nel muro, piuttosto che giocare a Pokémon Go. Davvero, mi vengono in mente milioni di attività più interessanti da fare, comprese togliere le pulci ai cani a mani nude.
Però quelli che demonizzano questo gioco mi fanno ridere.
Li ritengo ridicoli soprattutto per un motivo: i loro strali partono da Facebook, una delle applicazioni più perditempo mai inventate dall’essere umano.
Molti di quelli che criticano Pokémon Go buttano ore e ore su Facebook per inventarsi teorie complottiste sugli attentati dell’Isis, o a prendere per il culo quelli che guardano la nazionale “mentre il paese va a rotoli“.
Sicuri che ci sia poi tanta differenza tra questi modi di buttare/impiegare il tempo, e una partita a ‘sto cavolo di Pokémon Go?
Inoltre, come mi faceva notare ieri il mio amico Marco Siena, per anni i “vecchi dentro” si sono lamentati che Internet e i computer hanno costretto i ragazzi a chiudersi in casa, a rifiutare la presunta bellezza dei giochi all’aperto, per stare collegati a World of Warcraft, ai social network o alle consolle di videogiochi. Ora che c’è un’app che li fa uscire, gli stessi vecchi dentro si lamentano per il motivo opposto.
Sembrano proprio quegli anziani brontoloni a cui non va bene nulla, solo che questi anni un’età compresa tra i 30 e i 45 anni.
A sentire loro, anzi, a leggere gli status che pubblicano, viene da pensare che siano persone illuminate, concentrate 24 ore su 24 alla ricerca di nuovi modi per salvare il mondo. Mai uno svago, mai una distrazione.
Se potessi sbirciare a casa loro sono quasi certo che li troverei con l’uccello in mano, mentre guardano un filmato porno, o a giocare a Candy Crush. Non tutti, ma qualcuno sì.
Un po’ come quelli che vent’anni fa ci criticavano perché giocavamo a Dungeons and Dragons, mentre loro andavano a cercare le diciottenni albanesi sulla tangenziale.
Con tutto che – secondo me – Pokémon Go è una cagata grossa come quella di un’elefante.
Ma se a molti piace, a me va benissimo così.
(A.G. – Follow me on Twitter)
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