Dapprima la faccenda è saltata fuori parlando di zombie.
Io e un gruppetto di altri veterani del genere ci stupiamo di quanto i più beceri cliché sugli zombie riescano a vendere, praticamente alla cieca.
I militari cazzuti e violenti.
I maschi alfa.
L’apocalisse che spazza via il politici cattivi-cattivi e le istituzioni, viste come causa del male della società moderna.
L’amico del protagonista che viene morso e pronuncia le fatidiche parole: “Uccidimi. Non voglio diventare come loro!“.
Tutta questa roba qui.
Che – appunto – vende.
Vende sempre e a scatola chiusa.
E gli zombie ovviamente sono solo una tessera del mosaico.
Manco a farlo apposta qualche giorno fa trovo l’annuncio del release di un nuovo romanzo horror italiano.
L’autore è uno di quelli che non ha un blog, non interviene in nessuna discussione, se non per spammare, eppure vende.
Misteri della fede (diciamo così…)
Questo romanzo, di cui non farò il nome, racconta la storia di due sorelle di 15 e 16 anni (età che a quanto pare fa gola al motore di ricerca interno di Amazon) che si mettono a giocare con una tavola ouija e, invece di evocare lo spirito del padre, prematuramente scomparso, contattano un’entità malefica.
Un demone o giù di lì.
Siete anche voi sconvolti dall’originalità della trama, vero?
Hanno girato “solo” una trentina di film su questa falsariga, tra l’altro tutti identici, salvo pochissime varianti.
Anzi, già ai tempi dei nostri nonni c’erano delle storie da falò in cui si raccontava di sedute spiritiche finite male.
Eppure, a quanto pare, i lettori vogliono questa roba qui.
Perché stupirsi con effetti speciali, quando ci si può addormentare con qualcosa di già noto e stranoto, da leggere con un occhio all’e-reader e l’altro alle notifiche di Facebook?
Che poi è un po’ il medesimo principio che stanno seguendo i produttori cinematografici, con la loro mania di fare il remake di ogni cosa che tra gli anni ’80 e ’90 ha venduto bene. Si punta a conquistare un mercato sicuro, quello dei 30-40enni, senza provare a costruire un’iconografia nuova, tranne quella strettamente legata al genere young adult.
Da sempre rimango basito davanti all’assenza di curiosità nel prossimo, da quella paura (mista a fastidio) con cui si guardano le cose nuove e poco inquadrabili.
Diamo gli zombie-cliché agli amanti di The Walking Dead, le ragazzine che giocano con le tavolette ouija ai loro quasi coetanei.
Diamo il fantasy glitterato della saga di Shannara in versione TV alle adolescenti cresciute con il romanticismo in salsa elfica, e i remake di Gremlins, Goonies e chissà quant’altro ai bambinoni mai cresciuti.
Continuiamo pure a ingabbiare l’immaginazione in qualcosa di “giocattolabile” (termine preso in prestito da un fumetto di cui un giorno vi parlerò), di vendibile, di noto.
Togliamo dunque all’immaginazione la sua caratteristica principale, ovvero quella di stupire, di incuriosire, di sperimentare.
E sapete cosa?
Credo che in fondo di questo mio discorso non importi quasi a nessuno.
(A.G. – Follow me on Twitter)
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