Guardare un film di Wes Anderson significa sentirsi a casa. È come andare a trovare un gruppo di vecchi amici in attesa che arrivi qualcuno per iniziare l’azione. È questa la peculiarità di questo giovane regista che, come la maggior parte dei grandi autori, risulta immediato e riconoscibile. L’estetica “alla Wes Anderson” è già un timbro, un modo di dire e di essere. Lo stile, definito alla maniera degli hipster, è ironico e ricercato: camicie stirate, possibilmente a quadretti, e colletti inamidati; Ray Ban da sole e fasce di spugna ai polsi e sulla fronte in perfetto stile tennista; scarpette in tessuto e pantalone con risvolto; cravatte a righe e cappellini e cuffie di lana, magari rossi; occhialoni da vista dalla grossa montatura e accessori vintage tipicamente anni ’60.
Alcuni personaggi di Wes Anderson sono noti come icone di stile, un po’ come lo era Audrey Hepburn negli anni ’60. Un esempio per tutti: la magra, malinconica e trasognata Gwyneth Paltrow che interpreta Margot, la figlia dei Tenenbaum, quella famiglia americana che rappresenta un po’ il mondo “alla Wes Anderson“. Un mondo che in Grand Budapest Hotel si ritrova all’ennesima potenza: all’interno di un vecchio hotel dagli antichi splendori, ora quasi deserto e in decadenza, il proprietario discorre con un giovane scrittore, narrando la storia di ciò che accadeva all’interno di quelle mura, ora arancioni. L’attività del Grand Budapest Hotel girava intorno a una figura carismatica, dal grande fascino e savoir faire, Monsieur Gustave, interpretato – magistralmente – da Ralph Fiennes. Il concierge perfetto, per modo di fare, rigore e attenzione … ma anche un personaggio particolare che, insieme al suo nuovo protetto, il lobby boy dal nome Zero, viene invischiato in un episodio da thriller/giallo, e anche un po’ splatter per alcuni dettagli, sempre trattati con grande ironia. Ecco che compaiono personaggi surreali e molto caratterizzanti. Alla Wes Anderson, appunto. Il cast è riconoscibile, sono loro, gli “amici”: da un annoiato e sbadato concierge (del “nuovo” hotel Budapest) interpretato da Jason Schwartzman, all’adulto “lobby boy” interpretato da Murray Abraham, fino a un arrabbiato Adrien Brody, elegantissimo e cattivo, accompagnato da un ex soldato delle ZZ (presumibili SS di questa città immaginaria Zubrowka, la città del Grand Budapest Hotel) interpretato da Willem Dafoe. E poi Bill Murray, Owen Wilson - il “vecchio” compagno di Università che, insieme al fratello Luke, ha intrapreso i primi passi con Anderson -, Harvey Keitel, Edward Norton, Tilda Swinton, lo “stiloso” Waris Ahluwalia …
Una caotica avventura tra colpi di scena, personaggi che sbucano sempre diversi e “matti”, un’estetica perfetta, già partendo dalla minuzia con cui il regista prepara i suoi attori: costumi, pettinature, gesti. E poi il Grand Hotel: d’impatto gli ambienti descritti, dove la forma prende sopravvento sull’azione. La scalinata barocca, ma di timbro retrò di una Russia dei primi dei ’900, l’ascensore laccato di rosso, come una piccola, stretta prigione, o ancora i paesaggi montuosi, freddi, innevati di questa immaginaria regione. Il “Grand Budapest” è un “filmone” dove Anderson ha inserito tutto il suo immaginario e le sue azioni, come un poltergeist di rimandi e frammenti della sua poetica, in un grande spettacolo colorato. (Rossella Farinotti, Mymovies.it, 16 aprile 2014).