In vista di Expo 2015 ho realizzato un documentario su Milano e l’arte contemporanea con la regia di Giacomo Favilla. Si tratta di un’opera che racconta la città e il contemporaneo sotto i più diversi aspetti: da quelli storici a quelli appena nati. E, nel panorama milanese dell’arte, era d’obbligo – oltre che una bella avventura – andare a trovare Giorgio Marconi nella sua rinnovata Fondazione di via Tadino. Marconi è per la città un grande pezzo di storia della cultura milanese e internazionale. Ancora oggi.
“Signor Marconi, lei ha iniziato con studi più scientifici, ma poi ha pian piano capito che ciò che le interessava era il mondo dell’arte. Perché questo cambiamento?”
G.M. “Quello che mi interessava era il perché delle cose. E gli artisti che frequentavano l’atelier di cornici di mio padre Egisto – artisti come Mario Sironi, Massimo Campigli – mi raccontavano i dettagli di cose apparentemente banali, come l’importanza della luce, delle ombre, di un taglio … E così ho iniziato a frequentare gli artisti ed è nata questa passione”.
“Si può dire che il suo percorso, giunto a 50 anni di attività, sia stato favorito dall’ambiente artistico preparato, in maniera diversa, da suo padre. Qual è stato il suo esordio in galleria?”
G.M. “Iniziai a fare cornici anch’io. Gli artisti mi venivano a trovare, anche un gruppo di giovani che frequentavano Milano in quegli anni Sessanta. Emilio Tadini, Lucio Fontana, Mario Schifano … così decisi di aprire, nella stessa palazzina, una galleria, ma non convenzionale. Per questo la chiamai Studio Marconi. La prima mostra fu l’11 novembre 1965 e invitai 4 artisti, oggi notissimi: Lucio Del Pezzo, Valerio Adami, Mario Schifano ed Emilio Tadini. Artisti che ho sempre portato avanti.
“Lei ha anche viaggiato molto per l’arte. Qual era una meta per lei obbligatoria in quel momento?”
G.M. “Andavo spesso a Parigi. Era una meta per tanti artisti. E’ lì che, vivendo con Enrico Baj nella vecchia casa di Max Ernst, incontrai Man Ray e da quel momento sono diventato il suo maggiore collezionista”. Marconi, seduto nel suo studio, a questo punto si gira verso la libreria, i suoi libri e, indicandomeli, dice: “è tutto racchiuso qui. Questa è la mia gente”.