Lisbona: Dove la terra finisce e il mare comincia

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Chi mi legge sui social già lo sa: ho trascorso il Ponte dei Morti a Lisbona.
Non c’è nulla di più agli antipodi della classica atmosfera di Halloween rispetto alla capitale portoghese. Con una temperatura media di 25°, un sole senza nubi che splendeva in un cielo terso, sembrava più che altro di essere a inizio estate, e non a due mesi dal famigerato Natale.
Era la mia prima volta a Lisbona, anche se da anni volevo visitare questa città. “Il sapore europeo del Brasile, per chi in Brasile non ci può andare“, mi ha detto una volta un’amica, di ritorno dalle terre lusitane.
La definizione ci può stare, ma c’è anche dell’altro.
Immaginandomi Lisbona io ho sempre passato a due momenti della sua storia: il periodo trascorso sotto la dominazione dei Mori e l’Impero Coloniale. Il Portogallo contemporaneo è un paese piccolo e colpito da una grave crisi economica, ma restano ancora le atmosfere di questi due grandi eventi. Innanzitutto lo si percepisce nelle persone: essendo una città di mare, un grande porto sull’oceano, Lisbona è una di quelle metropoli che attraggono gente da buona parte del mondo.
Non a caso si respira un po’ di Europa, un po’ di Africa, un po’ di Sudamerica, e qualcosa di meno definibile.

Non vi tedierò con una lista di cose da vedere e di locali in cui mangiare.
Plutonia Experiment non è un blog di viaggi (purtroppo… ah, se potessi tornare indietro!), perciò preferisco condividere con voi qualche sensazione sparsa, lasciando alla vostra capacità di interrogare Google ogni sforzo per programmare un viaggio in terra portoghese.

La prima cosa che mi ha colpito è l’atmosfera lenta, rilassata e retrò che riguarda tutta la capitale lusitana, perfino nei suoi quartieri più centrali. Al ritmo rilassato e malinconico del Fado si consumano cene e aperitivi, ma si trascorre anche del tempo a leggere sulle (tante) panchine o sui gradini delle chiese, a suonare la chitarra, a dipingere il panorama, o semplicemente a contemplarlo.
E ne vale la pena, perché è mozzafiato (tanto per usare un’azzeccata frase fatta).

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Lo stile vintage di Lisbona è forse – come dicono alcuni – un simbolo del rallentamento economico del paese. Fosse anche così, è impossibile tuttavia non apprezzarlo, soprattutto per chi, lombardo come me, è abituato a no fermarsi mai, a non godersi mai un momento di “dolce far niente”, perché c’è sempre qualcosa che richiede la nostra attenzione.
Che poi produttività e ritmi lenti non siano conciliabili è tutto da dimostrare. Infatti secondo me non è così.

Di Lisbona colpisce poi la conformazione geografica, fatta di continui saliscendi, di viuzze che si arrampicano sui colli, attraversati dalle funicolari e dai tram (sì, tra cui il famosissimo 28).
Ma, da buon psicogeografo dilettante, a me è piaciuto attraversarla a piedi, con la mia compagna. È così, a piedi, che si colgono i dettagli che fanno la differenza. Dagli azulejos (piastrelle di ceramica con la superficie smaltata e decorata) ai vecchi poster del Fado, di movimenti politici, delle glorie del calcio, dell’orgoglio nazionale dei tempi pre-UE. Senza dimenticare negozi vecchi e nuovi, piccole botteghe di artigiani che si fregiano ancora di portare avanti attività che, all’europeo moderno e civilizzato, possono sembrare fin troppo demodé.
E anche cose molto più antiche, ovviamente.
Perché, anche se il terremoto del 1755 ha devastato buona parte della città, segni e prove del passato glorioso ce ne sono. Basta saper guardare.

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Lisbona è poi una città in cui si mangia e si beve bene, pagando poco.
Ho fatto immani scorpacciate di pesce – baccalà, sardine, pesce spada, gamberi e gamberetti, polpi – e ho bevuto dell’ottimo porto, della buona birra e lo straordinario Beirao, uno dei tipici liquori portoghesi.
Nonostante abbia pranzato e cenato in luoghi prettamente turistici (escludendo però quelli impersonali e non caratteristici, veri e propri “spennatoi” per viaggiatori dilettanti), ho mangiato con calma, con ritmi lentissimi, assaporando il cibo e le bevande. Cosa che, per la cronaca, non riesco a fare nemmeno a casa.

Lisbona è anche un luogo che ispira storie.
A tal proposito chiudo questo breve post con un aneddoto: nel gift shop di uno dei musei più frequentati della città, quello delle rovine del Carmo, vendono anche i fumetti di Ricardo Cabral, a fianco di prestigiosi libri di storia e di architettura.
Ve la immaginate una cosa simile, qui da noi?
Io no.

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