Non volevo più scrivere recensioni, non su questo blog, tuttavia ho letto alcune considerazioni inesatte su Luke Cage, perciò mi sono sentito – per così dire – in obbligo a dire la mia.
Luke Cage è uno dei personaggi chiavi dell’universo Marvel, per il suo valore iconico (è stato il primo eroe di colore della Casa delle Idee), ma anche a livello narrativo.
Chi non ha mai letto i fumetti lo conoscerà invece come comprimario di un altro ottimo serial prodotto da Netflix, Jessica Jones. Il personaggio era riuscito così bene che era inevitabile ricavarne una serie a lui dedicata.
Tuttavia Cage si porta appresso i tipici problemi dello stereotipo dell’eroe invulnerabile, visto che la sua pelle robusta come il diamante lo rende impenetrabile a quasi ogni genere di attacco. Come si può tenere viva la tensione, con un protagonista così?
Semplice: con una buona storia.
E Netflix la buona storia ce l’ha messa.
Innanzitutto, precisiamo ancora una volta: Netflix sta realizzando dei prodotti per adulti, parecchio lontani dai film “per famiglie” che ruotano attorno agli Avengers e ai Guardiani delle Galassie. Jessica Jones, Daredevil e Cage operano nello stesso setting, e ogni tanto ci sono delle strizzate d’occhio agli eventi visti nei film (soprattutto nel primo Avenger), ma i contatti al momento finisco lì: in citazioni, easter egg e poco altro.
La maturità di questi serial si evince invece negli elementi che mancano nei film: sesso, parolacce, morte. Tutto usato con giustezza, non tanto per fare i bad boys della situazione.
In Luke Cage questa maturità risalta anche in un’ottima trasposizione della vera Harlem, coi problemi, le dinamiche e le situazioni che caratterizzano questo quartiere di Manhattan.
Non lo dico a caso, visto che ho avuto la fortuna di visitare Harlem, anche se solo come turista. Ma le atmosfere, le luci, i colori e le persone sono quelle che si vedono nelle puntate di Cage, c’è poco da obiettare.
Venendo alla trama, evitando quanto più possibile gli spoiler, i registi sono stati bravi a ricamare i vari personaggi che ricorrono in queste tredici puntate della season 1. Ci sono più villain, tutti “motivati” (niente super-cattivo che vuole distruggere la città senza un motivo, per capirci), qualcuno riuscito, altri un po’ meno.
L’intreccio si sviluppa dapprima attorno alle questione della malavita di Harlem, che si mischia inevitabilmente con la politica, con la corruzione della polizia, col tentativo disperato di salvare i ragazzini dalla strada.
Poi, verso metà stagione, la trama devia verso le questioni irrisolte del passato di Luke Cage, diventando in parte una resa dei conti di famiglia, che ha però per teatro proprio l’intero quartiere di Harlem.
I ritmi non sono “lenti”, come ho letto, ma ritmati.
Ecco: ritmo è la parola che meglio descrive Luke Cage. Lo si evince dapprima dalla straordinaria colonna sonora, un mix vincente di musica vecchia e nuova, ma totalmente in linea con la cultura e le atmosfere di Harlem.
Il titolo di questo mio articolo si ispira a uno di questi pezzi, Long Live The Chief, di Jidenna. Ma è solo un tassello della soundtrack, composta anche da canzoni di Nina Simone, Method Man, Faith Evans e Mahalia Jackson.
Insomma, per dirla in maniera giovane: tanta roba.
E il ritmo musicale detta il tempo anche a quello narrativo. Episodi più parlati si alternano ad altri adrenalici, senza mai abbassare l’attenzione dello spettatore.
Anche i dialoghi, salvo qualche caduta nei cliché, sono sempre di livello più che buono.
Considerazioni finali per loro, gli attori.
Mike Colter pare essere nato per interpretare Cage. Credo si tratti di una delle migliori interpretazioni Marvel, insieme a Robert Downey Jr./Tony Stark.
Ottime comprimarie: Rosario Dawson, nei panni dell’infermiera Claire Temple (che fa anche da filo d’Arianna con Jessica Jones e Daredevil) e Simone Missick, alias il detective Misty Knight. Comunque io per la Dawson ho un debole, quindi ammetto che lei mi sarebbe piaciuta anche muta e vestita con un burka.
I tre cattivi principali del serial si avvicendano sul palcoscenico. Diamondback (Erik LaRay Harvey) è forse quello più fumettistico e bidimensionale, ma riesce effettivamente a incutere un certo timore con la sola presenza. La consigliera Dillard (Alfre Woodard) è invece la villain che offre più sfaccettature e che possiede più spessore.
Nota a margine: a me è piaciuto anche il tirapiedi Shades, un gangster bianco che riesce a dire la sua nella mala nera di Harlem.
Non male.
In definitiva ritengo che Luke Cage sia un prodotto riuscito alla perfezione.
Meglio di molti film Marvel per il grande schermo, se vogliamo dirla tutta.
(A.G. – Follow me on Twitter)
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