La grande bellezza, quella vera. Di Pino Farinotti (Mymovies.it, lunedi 17 febbraio) |George Clooney uomo e cineasta, colto, con l’ambizione delle grandi manifestazioni umani, coglie l’occasione del libro di Witter-Edsel per trasferirci un promemoria nobile: “Puoi sterminare un’intera generazione, bruciare le loro case, e troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi la loro storia, la loro cultura, è come se non fossero mai esistiti. È questo che vuole Hitler, è questo che combattiamo”. Poi, triste, gli occhi bassi, aggiunge: “… e chissà se a fine guerra il Davide di Donatello sarà ancora in piedi o se la Gioconda continuerà a sorridere”.
Poi parla dell’umanità e dei suoi conseguimenti. I “conseguimenti” sono le opere d’arte, detto in altri termini, la bellezza. Questa sì, grande bellezza. Il gruppo di specialisti, guidati da un docente (Clooney ) incaricati dallo stesso presidente Roosevelt, di ritrovare le opere d’arte rubate dai Nazisti, vede in azione operatori del livello più alto: storici, artisti, un mercante, un unico soldato di professione. Quasi tutti americani, e poi una francese (Blanchett) accusata di collaborazionismo, ma che era il contrario, che fornisce indicazioni indispensabili per i ritrovamenti. La donna prima esita, ma poi uno del gruppo (Damon) le dice “noi riporteremo le opere là dove devono stare, non siamo nazisti”. Il “grande furto” sarebbe servito a dar vita all’immane museo del Führer. E l’ordine di Hitler era: se dovessi morire o se un solo alleato metterà un piede in Germania, distruggete tutto.”
I “Monuments” recuperarono cinque milioni di opere.
Non si può non citare una storia simile, Il treno, di Frankenheimer, del 1964, con Burt Lancaster nel ruolo del responsabile di una ferrovia che devia un trasporto pieno di opere trafugate dal Louvre, cambiando la segnaletica delle stazioni: i tedeschi erano convinti di andare a nord mentre andavano a ovest. Un’altra storia vera, dove morì tanta gente in nome della magnifica salvaguardia.
Focus |Come è opportuno ed è accreditata regola della comunicazione, il focus è su due opere precise: il Polittico dell’agnello mistico, o Polittico di Gand, di Jan van Eyck, rimosso dalla cattedrale di San Bavone a Gand. Un breve promemoria: trattasi di una pala formata da dodici pannelli di legno di quercia, lavorati ad olio, una parte dei quali dipinti sui due lati per una visone anche quando il polittico era “chiuso”. La misura, a opera distesa, 375×258. L’altra opera è la Madonna con bambino portata via da Bruges. È di Michelangelo. Si racconta che il fiorentino lavorasse quasi di nascosto, su commissione dei Mouscron, commercianti di tessuti fiamminghi, ricchi naturalmente, che intendevano collocarla nella loro cappella di famiglia a Bruges. La scultura venne imbarcata, in segreto, a Livorno, era il 1506. Ci mise quasi due anni ad arrivare a destinazione. Quando Napoleone occupò le Fiandre nel 1806, la fece portare a Parigi. Ma nel 1815, dopo la caduta dell’imperatore e il Congresso di Vienna, tornò a Bruges. “Clooney ” la ritrova, buttata in un cassone, in una vecchia miniera, coperta da un telo sporco.
L’azione del focus, si sa, funziona. Basta pensare al modello della Ragazza con l’orecchino di perla Jan Vermeer. Se quel quadro fosse stato “confuso” in una collettiva fra altre opere olandesi, la curiosità, chiamiamola così, sarebbe stata esponenzialmente inferiore. Per vedere quell’unico dipinto si formavano code lunghissime, dovunque. Il polittico e la Madonna sostengono la tensione di tutto il film, come protagonisti di un thriller. Passano tante opere da mitologia, degli impressionisti, di Picasso, Rembrandt, Van Gogh, Klee, e di altri. Si assiste alla distruzione, raccapricciante, con un lanciafiamme, del Ritratto di un giovane, rubato a Cracovia. Di Raffaello.
Regista/attore |Clooney regista concede a se stesso attore anche un pronunciamento storico, sempre opportuno, magari dovuto. Visita un generale nazista arrestato, comandante di un lager, arrogante e per nulla pentito. Gli chiede notizie delle opere. Il generale rifiuta di collaborare. Domanda a Clooney : “lei è ebreo?” “No”. “Allora” conclude il nazista “dovrebbe ringraziarmi”. Clooney si accende una sigaretta. Parla: “Io non ho mai fumato una sigaretta, questa è la prima e sarà l’ultima. Così mi ricorderò di lei. Fra poco, quando avremo vinto la guerra e tornerò a casa, riprenderò una vecchia abitudine, andrò in un bar della mia città dove andavo sempre a fare colazione e a leggere il giornale. E un giorno, a pagina… diciotto, leggerò di lei, che è stato impiccato. Poi la dimenticherò”.
Il correntone critico prevalente non ha applaudito al film di Clooney : è naturale, il film è bello e divertente. Ha rilevato la sua trasparenza, una certa retorica e il lieto fine, ritenuto stucchevole, è notorio. Monuments, per ritmo, linguaggio ed estetica, sembra un film di Spielberg quando fa l’avventura, E non credo sia una cattiva notizia. E l’indicazione di Clooney scritta all’inizio potrà sembrare retorica ma è buona e opportuna. Noi siamo noi perché siamo la conseguenza dell’arte nobile, di quella grazia donata misteriosamente, che, aggiungo, cerca di farci da deterrente alla grande, orrenda onda media di questa epoca che vuole tutto omologare al basso e al volgare.
Mentre l’inquadratura attraversa le opere, che in quel momento, velocemente, diventano scenografia, ecco che quel tocco di passaggio, tutto accorpa e fa salire di qualità e di sortilegio. È ancora una volta la funzione del cinema quando si occupa di arte, e accetta di toccarla con attenzione e rispetto. Accogliendo un primato inattaccabile. Un inchino, sì, alla grande bellezza.