“Rodin parla dell’uomo dall’inizio alla fine”. Queste le parole di Flavio Arensi, curatore della mostra Rodin il marmo, la vita (a Palazzo Reale fino al 26 gennaio) mentre, con sguardo assorto verso le opere che è riuscito a portare in mostra a Milano, mi raccontava la vita dello scultore attraverso queste meravigliose tracce lasciate. L’allestimento è d’impatto: ponteggi di tubi innocenti rossi dai quali cadono dei drappi bianchi, rigorosi, ordinati. Una ricostruzione dell’atelier di Auguste Rodin (Parigi, 1840/ Meudon, 1917) in uno dei luoghi più storicamente ed esteticamente simbolici di Milano, la Sala delle Cariatidi. Un grande maestro post romantico in un luogo logorato dal tempo e dalla guerra. Lo scultore del non finito nel tluogo del ricordo e del consumato. Il colpo d’occhio è forte, e la sostanza e la poetica delle opere creano un percorso che non cede a debolezze, se non quelle della carne che Auguste, grande amatore, rappresenta. Diverso dagli altri nel suo tempo, Rodin realizzava opere che parlavano dell’essere umano, nelle sue forme incompiute, dove la base prevale sulla figura che pare abbozzata da una massa bianca di materia, e in quelle invece dettagliate e magiche nelle fattezze reali. Mani, gambe, piedi, nasi, fronti corrucciate, ornamenti e decorazioni che via via si mescolano con la materia da cui sono originate. “La decorazione diventa forma”, ripete Arensi davanti a sculture di volti come “La donna pesce” (1915), o “La tempesta”, dove il dettaglio della pettinatura, quel crocchio di capelli, torna materia pura. E poi quei corpi e dettagli lasciati appositamente sporcati dall’artista, un po’ grezzi, come i bozzetti in gesso dove sono visibili i chiodi, gli spuntoni o i punti che allora servivano per costruire le proporzioni. Proporzioni armoniche anche nelle figure intere, e in quelle doppie: gli amanti che formano vortici attraverso un bacio, o un abbraccio. Rodin era ancora romantico. Romantico in un tempo dove gli artisti avevano superato quei temi per narrare della società, dei problemi esistenziali, non più dell’amore puro. Proporzioni meno armoniche per un’opera in mostra importante: “Arianna”, l’amante resa, per sbaglio, con mani e piedi più grandi di lei, ma lasciata cosi, inesatta e bella nella sua forma dallo scultore stesso, che riporta alla forma e grandezza della “Mano di Dio”. E infine Il bacio, opera rilevante per tema e fattezze e per quell’amore che Rodin provò a Milano davanti alla Pietà Rondadini di Michelangelo. Amore che si ritrova nella figura incompiuta nel suo blocco e in tematiche come quella affrontata da “Madre e figlia morente” (1910).