Augusta è scappata dall’Italia, dalla sua “bella” vita da principessa, come qualcuno che la incontra più tardi, durante il viaggio, le dice, guardando qualche foto del suo passato. E’ scappata per un dolore che non riesce a placare, e tantomeno a spiegarsi, quello della perdita di un bambino. Va in Brasile con una suora amica, una donna ormai sicura delle sue scelte, che viaggia per quei luoghi sola con una barca, andando di villaggio in villaggio insegnando la parola del Signore, parola che ad Augusta non basta, e dunque cerca altri modi per togliersi quel malessere, fino a rimanere completamente sola, come un naufrago arenato su un lido. Quel lido è il Brasile, crudo e poetico, bellissimo, ma anche molto doloroso. E forse è utile per tornare indietro e ricominciare, ma non ne siamo sicuri. Il nuovo film di Giorgio Diritti, Un giorno devi andare, è un lavoro sul dolore e sulle donne. Con un sottofondo che non si dimentica, una volta usciti dalla sala cinematografica, quello di un Paese cosi vasto e vivido, con una fotografia meravigliosa sempre in bilico tra natura e città devastate, tra spiagge bianche e favelas, tra lunghissimi fiumi puliti e canali di spazzatura. Una natura bella e selvaggia, come quella dell’umano che li vive, e che insegna ad Augusta un’altra vita, a tratti migliore della sua. E a tratti simile. Il Brasile è un luogo da sempre attivo, e ogni tanto ne abbiamo delle tracce anche a casa nostra. Il Brasile per l’Italia è un po’ quel posto da dove arrivano le nuove scoperte che corrono dietro a un pallone, o dove appunto ci sono distese di sabbia bianca, ma in realtà è anche un luogo in piena attività culturale, perché l’arte e la fotografia sono diventate un mezzo importante per farsi sentire, per uscire da circuiti disperati di malessere e di vita dura. A Milano, ad esempio, ha da poco inaugurato una mostra fotografica tutta brasiliana dal titolo Oltre i colori del samba, riflessi del Brasile contemporaneo, presso lo spazio di una casa di produzione pubblicitaria, la Think Cattleya. La mostra fotografica è in collaborazione con Caju, e vede i lavori di 3 fotografi brasiliani che raccontano attraverso immagini molto reali la loro terra, Julio Bittencurt, Daniel Kfouri e Gustavo Pellizzon. “Ora voglio essere terra. Terra con la terra, e che la terra dia i suoi frutti”, queste le parole di Augusta, quando decide di andare nel suo viaggio da sola, e arriva a Manaus, in una comunità di favelas, dove si fa accettare e seguire, dove si sente apparentemente bene, fino ad un altro dolore che le riporta il ricordo vivido di quello per cui era scappata. Vicende e pensieri a bordo del Rio Negro. La natura verso la fine del film prevale, perché è potente, ed è anche pericolosa. Quella natura che vediamo negli scatti dei fotografi brasiliani mescolarsi insieme agli umani, per raccontarci il Brasile attraverso corpi ed espressioni, attraverso paesaggi verdi, ricchi di alberi, piante, animali. Una jungla nella quale Augusta, nel film, si sta quasi perdendo, cedendo a sentimenti e istinti, che poi recupera attraverso lo sguardo e i giochi di un bambino, che la fa rinsavire e riflettere, forse, su un possibile ritorno. Ritornare alle radici e costruire qualcosa, come del resto tutte le persone che l’aspettano, o che l’hanno incontrata. Le donne che portano avanti il film: dalle calme suore che pregano per lei in Italia, alle ragazze madri incontrate nelle favelas, fino alla madre, dall’apparente calma e staticità, ma che in fondo è probabilmente l’unica che ha compreso la figlia, o almeno ci sta provando. Un mondo femminile un po’ all’Almodovar, fatto di passioni e dolori, ma anche di forti aiuti e risoluzioni di problemi. Augusta affronta anche quelli di un Brasile povero e disperato, che non è senza speranza del tutto, perché c’è voglia di fare, e di migliorare, come appunto narrano artisti ora all’avanguardia, come una Lygia Pape, giovane artista che segue le tracce di quella generazione brasiliana nata a Rio de Janeiro che ha formato il Grupo Frente (1953), di cui fan parte artisti ormai storici come Hèlio Oiticica. La Pape crea installazioni di oggetti, sculture molto pulite, riprende immagini quotidiane con scritte che fanno riflettere, per raccontarci appunto il suo mondo attraverso dettagli: “Art is my way of under standing the world” (l’arte è il mio modo di capire il mondo), dove la parola “arte” può essere sostituita con “viaggio” o con “ricerca”, come nel caso di Augusta, ma i sentimenti e la voglia di cambiare sono gli stessi. (da Mymovies, martedi 2 aprile).