C'ERO PRIMA IO
di Emanuele Beluffi
Leggo su Flash Art di Febbraio alcune riflessioni sul mestiere della critica, a firma Luca Bertolo. Il pezzo s’intitola Curare la critica e sembra prelevato a man bassa dalle annotazioni pensose che tempo fa un acchiappanuvole poco ciarliero vergò sulle pagine della sua rivistuzza clandestina uscita motu proprio tra i furbetti del quartierino milanese. Recondite armonie fra sofisticherie di cervelli che ragionano sul medesimo stato di cose, ma con mezzi di differente potenza. Dunque, il Bertolo lamenta l’estinzione della critica. Non necessariamente la critica virile e sputtanante -per il mittente o per il destinatario- di chi dice che il re è nudo. Bensì l’analisi ponderata dei pregi e delle manchevolezze di un’opera d’arte o di un lavoro che aspiri ad esserlo, di una mostra o del climax generale in cui si trova il piccolo mondo antico dell’arte contemporanea. Ma nello stesso tempo il Bertolo si lamenta della critica che sopravviene ora sui supporti eterei dei blog. Che è forse imparaticcia e abborracciata, ma certamente vergine rispetto alle piccinerie di cordata e alle consorterie alla vaccinara che danno l’impronta do sè al sistemino dell’arte.
Il Bertolo cita la Bertola (Chiara) autrice del libro Curare l’arte, in cui curatori famosi e famosini delineano il quadro d’insieme del mestiere del curatore. La cui spinta propulsiva ha oggi la stessa potenza del moto di volontà che spinge il ragazzotto di provincia e la giovinetta di città a partecipare a reality shows come il piccolo cugino o come cazzo si chiama. E’ una moda. Rispondere sono un curatore alla domanda che fai nella vita? fa più fino che rispondere faccio il verduraio.
Sta di fatto che:
- 1)
- la critica latita. Saranno testi critici le quattro cazzate vergate a catalogo dai “curatori” delle mostre? Mentre la stragrande maggioranza degli articoli pubblicati sulle testate specializzate è rappresentata da pistolotti, articolesse, interviste in ginocchio, peana gratuiti o recensioni a pagamento, piuttosto che dall’analisi spietata e gioiosa, serana e soppesata, del lavoro di un artista o dell’ordinamento di una mostra
- 2)
- la curatela abbonda. Tu vuò fà il curatore. Ne ho appena conosciuta un’altra, l’ennesima, giovane e carina, che bazzica intorno a un imbarazzantissimo locale figo di Milano prestato a spazio espositivo (anche le gallerie, crescono).
E’ nata addirittura una rivista, a Berlino. Si chiama The Exhibitionist e vuole far l’ironica ma è soltanto miserabile: trattasi di pubblicazione periodica in cui l’elite curatoriale transnazionale (ma non italica), col pretesto di parlare di alcune mostre (museali, of course), parla del proprio modus operandi. E chi se ne frega. Il mondo è gravido di aspiranti curatori che sgomitano lungo la Main Street spintonando e facendo vacillare i passanti. Ma perchè lorsignori non si curano l’anima, oltre a curar le mostre e il loro onanismo “intellettuale”?
E’ di questi giorni la notizia che uno degli eventi collaterali dell’imminente MiArt (il cui comitato consultivo, che decide quali gallerie entrano e quali no, è composto in massima parte da galleristi), sarà...un quadripartito. Il nome di tale arrondissement fieristico è De Arte Disputatio e il curatore tale Milovan Farronato, che nella lista dei 100 (cento) potenti stilata da Flash Art compare al 14° (quattordicesimo) posto. Una lista poi corretta, come afferma il direttore Giancarlo Politi: in redazione s’erano accorti delle furberie di candidati che avevano votato per se stessi e in modo plurimo. Bene. Mancava solo l’emulo di Achille Lauro, che regalava i pacchi di pasta ai suoi elettori. De Arte Disputatio, dicebamus, è un evento per addetti ai “lavori” in fregola: guarderete come saranno sudati, nelle loro dispute polemologiche (per la gran parte di tipo masturbatorio, altro che disputatio), distribuiti fra le quattro sezioni tematiche Eorum Vox, Libera opinione expositio, Inter artem et elegantiam peregrinationes e Interludium. Giuro, le han chiamate proprio così.
Milovan, Milovan Farronato, l’uso del Latino è consentito solo ai nostalgici della Messa preconciliare, non ai giocherelloni che vogliono darsi un tono.
La morale è sempre quella: riviste di curatori in cui i curatori più famosi dell’universo si fanno le pippe davanti ai loro tre o quattro lettori, gli allarmi degl’indignati speciali che lamentano la scomparsa della critica salvo poi lamentarsi della sopravvenienza della medesima sui blog (concorrenza sleale!), la lista guardonesca e un po’ cialtrona del summit cartaceo dei cento potenti della terra. E’ il circolo dell’autoreferenzialità vanesia a scorno della critica. I potenti, tanto per restare nel medesimo universo di discorso, non stanno mai in primo piano. E la critica, potente o no, conduce una vita silente.
[Kritikaria, la Rubrica di Emanuele Beluffi, n.01: "C'ero prima io", pubblicato su Lobodilattice il 22-02-2010]