HOW I WISH YOU WERE HERE
You raise the blade, you make the change you re-arrange me till I’m sane.
Here's someone in my head but it's not me.
And if the cloud bursts, thunder in your ear, you shout and no one seems to hear
and if the band you're in starts playing different tunes
I'll see you on the dark side of the moon
Pink Floyd
These are my friends, see how they glisten
Sweeney Todd
Una spiaggia con una raffineria sullo sfondo e il cielo costellato da dirigibili di Sanyo, Good-Year e Direct Tv. Tutto ciò che serve per ricevere segnali elettromagnetici, spostarsi, guardare, desiderare, vivere vite irreali in differita. Sul bagnasciuga turisti, e in primo piano un’adolescente bionda con occhi enormi, un gelato pieno di latte e zuccheri, e il cellulare all’orecchio. La ragazzina indossa la maglia con il prisma di The Dark Side of the Moon, il concept album dei Pink Floyd sulla morte, sulla paura di volare, sulla follia come frattura fra l’uomo e il suo ambiente. Un’ape, simbolo del linguaggio nell’iconologia ebraica, le sta volando in contro.
Il telefonino ricorre in molte opere di Alex Gross.
Guscio del mondo del suo possessore, oggetto sociale per eccellenza, nuovo medium nella storia della scrittura e delle iscrizioni, il cellulare è emblematico della dislocazione della presenza dell’individuo. Ma nei lavori di Gross (Come Where the Flavour Is, Dark Side, End User, Kool Aid Drinkers, Mammon, Obedience, Signals, Wish You Where Here), il telefonino assume valenze inquietanti, di negazione della presenza, di assenza, di effettiva solitudine.
Un altro elemento frequente sono le donne giapponesi.
Variamente dislocate sulla linea del tempo, possono essere pin-up anni Quaranta e Cinquanta, crocerossine o dame vittoriane, geishe col kimono. L’immaginario femminile nipponico (che l’artista conosce perfettamente grazie ad una ricerca effettuata sul campo, che ha portato alla pubblicazione del volume della Taschen Japanese Beauties) veicola un tipo di bellezza enigmatica, spesso incomprensibile agli occhi di un occidentale.
Le giapponesi di Gross appartengono al mondo fluttuante, ai bijin-ga (le reclame ottocentesche per le cortigiane del quartiere a luci rosse di Yoshiwara), ma anche ad una contemporaneità fatta di vestiti firmati, méche bionde e tatuaggi. I bijin-ga hanno in effetti costituito l’alba dell’advertising di moda in Giappone. Alex Gross raffigura una cadaverica geisha con l’epistassi al naso per pubblicizzare le sigarette di Prada, ricoperte però dal pattern con il logo di Louis Vuitton.
Questa decostruzione dell’artificio pubblicitario, questo disvelamento del suo lato perturbante, costituisce uno degli aspetti più interessanti della poetica dell’artista.
Dall’icona della Apple viene fuori un verme.
In quella di Starbucks, la dama dai lunghi capelli ha un volto di teschio, come pure una delle due adolescenti a cavallo della Lambretta rosa nell’incubo bucolico di Premonition (presagio forse di un incidente mortale).
Una malinconica ragazza, non tanto bella ma sicuramente molto cool, per via del piercing al sopracciglio, del tatuaggio giapponese, della borsa Louis Vuitton e della T-shirt di Shepard Fairey, diventa l’allegoria del conformismo in Obedience.
Perché l’imperativo alla coolness, da attributo ribelle, è diventato un paradossale copione a cui obbedire.
Nelle sue visioni oniriche, Alex Gross sposa gli ingredienti del Surrealismo storico, come il vuoto pneumatico, la simbologia animale, la miscela di temporalità disparate - che partono probabilmente con il 1435 e la deposizione di Rogier Van Der Weyden di Ascent-Descent - , ad elementi propri della cultura pop.
Ad esempio i dispositivi di volo: aerei e dirigibili, vettori di viaggio, dominio territoriale su larga scala, velocità e pubblicità. Il dottor Freud e la sua Interpretazione dei Sogni li avrebbero liquidati come banali simboli fallici.
Un altro topos della cultura pop sono gli anni Quaranta e Cinquanta, citati nelle pettinature e nelle atmosfere. Gli anni che portarono dalla grande distruzione al grande sogno, quello dell’infinita abbondanza, dell’industria culturale, dell’onnipotenza dei divi. Gli anni Cinquanta hanno visto nascere Playboy, il mito californiano, il rock ‘n’ roll. Ma sono stati anche gli anni delle lobotomie, della caccia alle streghe di McCarthy, del conformismo ad ogni costo.
Alex Gross raffigura spesso il malessere postmoderno, come una malattia dai molti sintomi, che svuota gli occhi delle persone, esplode in emorragie improvvise, rende dipendenti da sigarette e dolci da sugar-blues. Una sindrome incurabile, che separa gli individui gli uni dagli altri mediante una trance solipsistica con i propri congegni elettronici.
L’unico antidoto a questa nausea è fare un’involuzione di paradigma, incontrando (o diventando) un mostro moderno come Sweeney Todd. Barbiere serial killer realmente esistito nella Londra della rivoluzione industriale, Todd tagliava la gola dei suoi clienti per derubarli dei loro soldi, in combutta con la sua amante che poi riciclava i cadaveri nei suoi pasticci di carne, in vendita nel vicolo di Bell Yard. Insomma, l’apoteosi dell’etica del lavoro.
La stessa etica di Mammon, l’opera dedicata al dio dell’avarizia.
Gesù si è trasformato in uno studente vestito casual, che abdica dal suo posto sulla croce in favore un ibrido con corpo maschile e maschera Onna del teatro No. Intorno alla crocefissione, turiste intente a scrivere sms e scattare foto. Il nuovo messia ha il simbolo del dollaro al collo, ed è circondato dalle gigantografie pubblicitarie dei grandi marchi.
Alex Gross associa modalità sognanti, piene di mistero e grazia, ad uno sguardo affilato come una lama, che focalizza le nevrosi, i vizi e le angosce dell’uomo nell’impero della comunicazione globale.
Ma soprattutto la solitudine di chi si è perduto in un mondo di spettri.
note:
1)Tu alzi la lama, realizzi il cambiamento, mi riassembli finchè non divento sano, (…) c’è qualcuno dentro la mia testa, ma non sono io. E se la nube scoppia e il tuono è dentro la tua testa, tu urli, ma nessuno sembra sentirti. E quando la tua band inizia a suonare in melodie differenti, ti vedrò sul lato oscuro della luna.
2)Questi sono i miei amici, guarda come luccicano.
HOW I WISH YOU WERE HERE
You raise the blade, you make the change You re-arrange me till I’m sane.
Here's someone in my head but it's not me.
And if the cloud bursts, thunder in your ear, you shout and no one seems to hear
and if the band you're in starts playing different tunes
I'll see you on the dark side of the moon
Pink Floyd
These are my friends, see how they glisten
Sweeney Todd
A beach with a refinery on the back, and the sky with a constellation of Sanyo, Good Year, Direct Tv’s airships. Everything one may need to receive electromagnetic signals, to move, to watch, to desire, to live unreal lives in a pre-recorded broadcast. There are tourists in the foreshore, and a blonde teenager in the foreground, with huge eyes, an ice-cream full of milk and sugar, and a mobile-phone. The girl is wearing a t-shirt with the prism of The Dark Side of the Moon, the Pink Floyd’s concept album about death, fear of flying, and madness as a rift between man and his environment. A bee, the symbol of language in the Jewish iconology, is flying towards her.
The cell-phone recurs in many works of Alex Gross.
A shell of the world of its possessors, a social object par excellence, a new medium in the history of writing and inscriptions, the mobile is emblematic of the dislocation of man’s presence. But in many works of Gross (Come Where the Flavour Is, Dark Side, End User, Kool Aid Drinkers, Mammon, Obedience, Signals, Wish You Where Here) the cell-phone often has disquieting meanings: negation of the presence, absence, actual loneliness.
Other frequent elements are Japanese women.
Variously dislocated on the time-line, they might be pin-ups of the Forties and Fifties, red-cross nurses or Victorian ladies, geisha-girls with kimonos. The feminine imaginary of Japan (which the artist knows perfectly thanks to a research on the field, and the consequent publication of the book Japanese Beauties for Taschen) conveys an enigmatic kind of beauty, often incomprehensible to the Western view.
The Japanese women of Gross belong to the floating world, to bijin-ga (the Eighteenth Century advertisements for the courtesans of the red light district of Yoshiwara), but also to a contemporaneity made of designer clothes, blonde highlights and tattoos. Bijin-ga has actually constituted the dawn of fashion advertising in Japan. Alex Gross represents a cadaverous geisha girl with epistaxis to promote the cigarettes by Prada, wrapped in a pattern with Louis Vuitton’s logo.
This deconstruction of the advertising artifices, this revealing of their uncanny side, constitutes one of the most interesting aspects of Gross’ poetics.
A worm comes out the Apple.
The long haired lady in the Starbucks' icon has a skull instead of her face, such as one of the teenager riding a pink Lambretta in the bucolic nightmare of Premonition, maybe an omen of a deadly crash.
A melancholic girl, not so much beautiful, but surely very cool, according to her piercing, her tattoo, her Louis Vuitton bag, her Shepard Failey T-shirt, becomes the allegory of conformism in Obedience. Because the imperative to coolness, from a rebel feature, has become a paradoxical script to which obey.
Alex Gross marries the historical Surrealism’s ingredients, such as pneumatic vacuum, animal symbology, a mix of different temporalities (which probably start with 1435 and the deposition of Rogier Van Der Weyden) to the distinctive elements of pop culture.
For instance, the flying devices: aeroplanes, airships, vectors of travelling, of territorial dominium on a large scale, of speed and advertising. They would have been solved by doctor Freud as trivial phallic symbols, according to his The Interpretation of Dreams.
Other pop culture topoi are the Forties an Fifties, quoted in hairstyles and atmospheres. The years which brought from the great destruction to the great dream, the years of endless abundance, of the boom of the cultural industry, of the omnipotence of movie stars. The Fifties saw the birth of Playboy, the Californian mythology, and rock 'n roll. But they were also the years of lobotomies, of McCarthy’s witch hunt, of the conformism at any cost.
Alex Gross often represents the post-modern illness, as a disease with many symptoms. It empties the eyes of the people, explodes in sudden haemorrhages, makes addict of cigarettes and sugar-blues dishes. A syndrome beyond cure, which separates people one from another by a solipsistic trance with their electronic devices.
The only antidote to this sickness is to make an involution of the paradigm, meeting (or becoming) a modern monster like Sweeney Todd. Serial killer barber, who really existed in the London of the industrial revolution, Todd cut the throats of his clients to robe them of their money, in cahoots with his lover, who later recycled the corpses in her delicious meat pie, for sale in the back lane of Bell Yard. In short, the apotheosis of work ethic.
The same ethic of Mammon, the work dedicated to the god of avarice. Jesus has transformed into a casual-dressed student, who abdicates from his place on the cross, to a hybrid with male body and Onna mask from Japanese Noh theatre. Around the crucifixion scene, there are tourists busy writing txt and taking pictures. The new messiah has the dollar sign around his neck, and is surrounded by giant corporation signs.
Alex Gross associates dreaming modalities, full of mystery and grace, with a look as sharp as a blade, which focuses on neurosis, vices and angst of men in the empire of global communication.
But, most of all, the loneliness of the ones who got lost in a world of ghosts.