Le differenze tra i concetti di installazione totale e installazione occidentale sottolineate da Ilya Kabakov sono illuminanti: quest’ultima possiede una natura differente, in quanto parte dalla cosa (oggetto) e non dal quadro (ambiente). Sistemi diversi che rispondono a due diverse culture. All’Occidente corrisponde una cultura legata sostanzialmente alle cose. In Unione Sovietica, al contrario, non esistono oggetti di alta qualità. Di conseguenza l’installazione è concepita a partire dallo spazio, come riferimento a una realtà nazionale, ovvero «in Unione Sovietica si nasce e si muore nello stesso alloggio». L’ambizione è allora quella di uscirne, seppur a livello immaginario. The man who flew into space from his apartment è, da questo punto di vista, un’opera esemplificativa, in grado di catapultare letteralmente fuori casa le persone. Un’installazione – appunto - totale, legata a un fattore biografico non fine a sé stesso. Lavori di questo genere possiedono, intrinsecamente, più livelli: quello narrativo, caratterizzato da un apporto favolistico che le rende allo stesso tempo altamente simboliche, e quello politico. Un sardonico Ilya Kabakov racconta l’episodio che qualche anno fa coinvolse l’installazione durante una mostra al Guggenheim di New York. La spiegazione di una funzionaria che accompagnò Vladimir Putin e la sua delegazione nella visita fu: «I russi ambiscono sempre a elevarsi verso Dio». Questa curiosa quanto politicamente corretta vicenda si ricollega, volendo, a quella democratizzazione dell’arte che Ilya e Emilia Kabakov sottolineano ripetutamente: il senso dell’opera è in tutti i casi dipendente dall’interpretazione arbitraria dello spettatore, che può essere «un idiota» - definizione data da Ilya - oppure una persona in grado di comprendere la metafora in linea con la visione autoriale. Entrambi possiedono pari dignità di fronte all’arte; l’artista, quello bravo, deve considerare ogni apporto esperienziale del visitatore di fronte all’opera. Contemporaneamente quest’ultima deve possedere in sé più livelli di lettura rispondenti, come un cerchio che si chiude, alle varie definizioni. Più che di democratizzazione dell’arte si potrebbe parlare allora di un atteggiamento altamente sociale dell’artista, che crea l’opera e la dà, positivamente parlando, in pasto alle varie fasce di pubblico. Un appagamento visivo infinito e per questo doppiamente prolifico, che sottostà alla condizione di complessità dell’autore. Egli, dichiarano i Kabakov, deve offrire il massimo della complessità che gli è possibile.
I due artisti sovietici non privilegiano in alcun modo un medium rispetto ad un altro. È il primo aspetto evidente all’interno dell’allestimento da Lia Rumma, l’azzeramento di una scelta formale traslata sul mezzo. Someone is crawling under the carpet (1998) occupa l’intera stanza. Un’installazione che a prima vista somiglia a una perfomance, presupponendo una presenza umana che in realtà è solo suggerita dagli spostamenti sinuosi e antropomorfi del macchinario celato sotto al tappeto. La libertà di movimento per i visitatori che ruotano intorno all’opera è data dal perimetro dell’ampia sala all’ingresso della galleria. Un’idea propositiva dei Kabakov, lasciare libero il pubblico di chiedersi quale sia la natura dell’opera osservandola da più punti di vista. Someone is crawling under the carpet non vuole essere un lavoro del tutto ermetico - seppure, a causa della sua stessa conformità, sostanzialmente lo risulta; la titolazione è essenziale e restringe le possibilità di una lettura collegata a qualsiasi tipo di spettacolarizzazione. Ilya e Emilia Kabakov ne sono estremamente distanti; la loro è un’arte profondamente concettuale, legata al pensiero, intrisa di una visione della storia identitaria e collegata ripetutamente alla realtà nazionale.
Una teca con alcuni disegni della serie degli Album completa il primo step dell’esposizione. Un confronto aperto tra due medium - quello installativo, alle nostre spalle nel momento in cui contempliamo la bacheca e viceversa - ci spinge immediatamente di fronte all’idea di un’arte che si esprime in maniera multiforme. I disegni possiedono ciascuno un’autonomia interna, data dal posizionamento in linea orizzontale che permette di osservarne la narrazione come se fossero tanti fotogrammi conseguenti l’uno all’altro; in alcuni punti le immagini sono intervallate da fogli scritti. L’accompagnamento verbale si ricollega, a detta dello stesso Ilya Kabakov, all’importanza della letteratura nella tradizione dell’Unione Sovietica. L’idea del racconto identifica la scelta da parte degli artisti di creare un alterego tramite cui narrare, appunto, opinioni su svariati argomenti (che vanno dall’estetica fino all’identità nazionale) e atteggiamenti psicologici intrisi continuamente dalla personalità dell’artista. La fisionomia è spesso quella della favola: l’universo fiabesco ricorre in una poetica che si struttura attraverso infinite ricerche, a volte lontane dall’ambito ristretto delle arti visive.
Quelle di Ilya e Emilia Kabakov sono opere a prima vista complesse, in realtà articolate in maniera concettualmente semplice tramite poche tematiche basilari: la narrazione, la realtà nazionale, i multilivelli di lettura. La loro poetica considera particolarmente importante la ricerca di equilibrio tra una dimensione locale e una dimensione globale dell’artista, spesso osteggiato dal sistema stesso dell’arte. Ilya Kabakov snocciola una serie di causali decisive al passaggio da uno stato all’altro: la personalità - la definisce «un’aura che attrae», percepibile dall’opera; il linguaggio internazionale, che può ambire a diventare, in un secondo momento, universale; il confronto costante con le proprie radici. L’analisi di aspetti della cultura individuale che possano essere universalizzati è una strada tuttora percorsa dai Kabakov, attraverso tematiche divise tra l’interesse per la vita delle persone comuni e l’utopia.
Ivana Mazzei