CURATORI DEL NULLA, OVVERO LE (TANTE) FALSE IDENTITA' DEL CURATORE
di Alessandro Trabucco
La figura del critico d’arte, e oggi del curatore, sta assumendo invece dei contorni sempre più distorti, tanto da non essere più compresa dalla maggior parte dei personaggi che frequentano il mondo dell’arte. Tengo a precisare che non sto per sputare nel piatto in cui mangio e nemmeno in quello degli altri miei colleghi, cerco solo di fare un’analisi della situazione, basata su esperienze dirette, sulla mia propria pelle (d’altronde nessun medico ha mai ordinato a chicchessia di fare l’artista o il curatore/critico, sono libere ed incondizionate scelte di vita, che comportano i più o meno normali rischi di qualsiasi mestiere, da accettare, affrontare e superare senza batter ciglio... detto proprio tra parentesi...).
La personalità del vero “curatore militante” (per “vero” intendo “non nominale”, non “di facciata” come certi assistenti e portaborse di altri curatori più conosciuti – ed anch’essi a volte prestanome o “figure decorative” di qualche grande fondazione – per mezzo dei quali godono di una non giustificata notorietà da “curatori del nulla”, perché basata sul nulla, perché in curriculum non hanno alcuna mostra veramente curata) pare essere relegata un po’ nelle retrovie del cosiddetto Sistema dell’Arte, a fare il “lavoro sporco” (tipo quello del portinaio che lava le cantine e fa i sacchi neri alle 6 del mattino), dedicato alla ricerca affannosa di artisti sconosciuti da tirare fuori dal fango, da proporre all’attenzione del pubblico, un pubblico che dovrebbe stare più attento alle bufale mediatiche.
In verità la questione principale è molto semplice: l’apparente aspetto culturale di certe mastodontiche operazioni artistiche pone l’osservatore su di un piano di inferiorità, lo terrorizza, gli impone un sentimento di soggezione. È la prima regola d’oro da adottare per evitare, “ad arte”, critiche feroci, ammantandosi di un magico alone di mistero. Ma mistero de che?
A volte è consigliabile non accettare passivamente tutto ciò che ci viene propinato, soprattutto di fronte all’altisonante, all’assordante, al caos, alla confusione, fattori in grado di ottundere le capacità cognitive a favore di uno stordimento capace di annullare completamente il senso critico.
Sarebbe meglio porsi in una posizione di uguaglianza, soltanto per il piacere di poter esercitare il proprio diritto alla libera riflessione, non condizionata dalle apparenze e dalle mode dominanti.
L’evento dell’estate, il tormentone 2010, è sicuramente a Milano, la mostra di Paul McCarthy a Palazzo Citterio e promossa dalla Fondazione Trussardi. Un eventone costruito intelligentemente e a tavolino, la prima personale in Italia dell’artista americano, un enorme dispendio di economie e di energie. Ma ne avevamo veramente bisogno? Confesso che sono andato più di una volta a vedere la mostra, forse la prima l’avevo vista male, troppo di fretta, forse quel giorno non ci stavo con la testa, ero poco ricettivo, poco sensibile...
Ci torno di nuovo, e ci torno ancora, nulla da fare, indifferenza totale, anzi no, irritazione e sensazione di perdere del tempo prezioso. Ma il sentimento che rimane nel tempo è, in effetti, indifferenza, nel senso che una volta uscito non è che mi sia sentito meglio o peggio di prima, non è che le mirabolanti opere del buon Paul, con il suo ketchup, i suoi video allucinati e il suo George W. Bush che sodomizza un maialino, mi abbiano fatto riflettere poi così tanto sugli aspetti più truci e animaleschi dell’uomo, sui problemi sociali e sugli effetti devastanti di una politica mondiale disastrosa e criminale, anzi, totalmente uguale, forse solo un pochino disgustato. Disgustare era lo scopo da perseguire? Obiettivo raggiunto? Forse, e per vie indirette.
Sono ormai lontani ricordi le emozioni provate di fronte ad un Malevic al Castello di Rivoli, o le lacrime agli occhi dopo aver visto Tracey Emin al CAC di Malaga, o l’incanto durato ore nella Chiesetta di San Gallo a Venezia ad osservare i personaggi di Bill Viola attraversare le cascate d’acqua. Sono veramente lontani...
Una cosa è certa, il potentissimo e giovanissimo direttore artistico della Fondazione Trussardi (che tra l’altro stimo molto, avendo anche apprezzato il suo intervento scorrevole e limpido nel ciclo di conferenze sull’arte contemporanea tenute anche da Celant, Vettese e Christov-Bakargiev al PAC nel gennaio/febbraio del 2009) forse (sottolineo forse) non sa cosa vuol dire fare veramente il curatore, cucinarsi il piatto da soli piuttosto che sedersi ad una tavola già imbandita da altri. Si lavora sul sicuro, sul già affermato, sul già rodato/lodato, sui grandi nomi internazionali, senza minimamente occuparsi della linfa vitale della giovane arte emergente. Il suo sembra essere un grande talento sprecato, manovrato, dedicato esclusivamente a “pacchetti sicurezza”.
È solo un esempio tra gli altri quello che sto prendendo in esame, forse il più eclatante e rappresentativo di un sistema artistico volutamente suddiviso in “SERIE”, come i vari campionati di calcio. Quando Massimiliano Gioni (ma ripeto, è solo un esempio) scoverà e ci proporrà una sua giovane e sconosciuta scoperta, forse capiremo che questa “gavetta al contrario” ha dato dei frutti importanti, sarà servita a qualcosa, non solo a riempire ulteriormente le tasche di artisti internazionali già affermati, ai quali però vengono anche elargiti fondi immensi (privati, sia ben inteso, del cui uso il proprietario stesso può farne naturalmente ciò che vuole), facendo piovere su un bagnato talmente umido da risultare un pantano dai contorni poco chiari, e dimenticando che invece l’arte italiana all’estero vale meno di zero, perché i primi nemici degli italiani e dell’arte italiana sono gli italiani stessi, incapaci a promuoversi e a difendere il proprio lavoro, incapaci a credere nella propria potenza creativa e capacissimi, viceversa, ad affossarsi da soli nella mediocrità di una esterofilia unica al mondo nella sua imbarazzante intensità.
E chissà, magari Gioni e i suoi cloni si renderebbero anche conto che sporcarsi le mani, a volte, è pure divertente, direi appagante, perché mette in gioco delle energie nuove e fresche, senza nulla togliere all’importanza del lavoro già fatto, che è però farina di un sacco già più volte utilizzato ma dal quale, magari, un pezzo di pane non troppo rappreso lo si può ancora tirare fuori.
Amor Vincit Omnia
In ricordo di Maurizio Sciaccaluga, curatore vero, a tre anni esatti dalla sua improvvisa e prematura scomparsa. Esempio non sempre condiviso, ma pur sempre rispettato per il suo costante ed instancabile impegno.
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NOTE:
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nell'immagine, frame da video installazione, Bill Viola
[Less is more (Mies van der Rohe) - la Rubrica di Alessandro Trabucco
n. 05 - “Curatori del nulla, ovvero, le (tante) false identità del curatore" - pubblicato su lobodilattice il 28/06/2010]