Ricordare la ricorrenza della morte di Nureiev è un fatto dovuto. E’ stato, lo sappiamo, un artista universale, un eroe oltre le mitologie e i generi. Il più grande, semplicemente. “Generi” significa naturalmente anche il cinema. Le notizia e le vicende che lo riguardano sono ultranote, e sono talmente tante che una selezione diventa molto difficile: il più grande ballerino classico, l’inventore di nuove coreografie, il riformatore del ruolo maschile rispetto a quello femminile, il modello di un virtuosismo e di una forza sconosciute prima di lui. Le sue vicende politiche: la “fuga” dalla Russia, e poi i successi in tutto il mondo. La sua parabole non è mai convenzionale, a cominciare dalla prima scuola di danza, l’accademia di ballo Vaganova, quando aveva già 17 anni. Ma la sua vocazione non aveva bisogno di scuole, era talmente sopra tutti gli altri che due anni dopo ne aveva già fatto una stella della danza russa, forse la prima stella. Ma quel ruolo non lo mise al sicuro dalle invidie e dalle rappresaglie, anche perché Rudolf fornì fin troppe ragioni per essere punito, allontanato, addirittura bandito dal famoso teatro Kirov, tempio russo della danza. E’ anche vero che la Russia e tutto il resto del mondo, non erano sufficienti per la sua grandezza e la sua ricerca. Toccò Parigi, dunque l’Occidente, e gli piacque. Così nel 1961 abbandonò l’Unione sovietica, che lo rinnegò, permettendogli di tornare solo nel 1987 per rivedere la madre morente. Un altro momento decisivo della carriera del ballerino fu l’approdo al Royal Ballet di Londra e l’incontro con l’étoile Margot Fonteyn che gli smussò le durezze di carattere e lo introdusse nella parte più alta di quell’ambiente.
E poi l’uomo. Un carattere difficilissimo, odiato e amato, idolatrato e maledetto, insofferente e odioso. Ma sono dettagli di scarsa rilevanza a fronte del talento e del carisma. Inarrivabili, appunto. E rispetto al carattere, io posso portare un piccolo contributo personale. Dico che con me non fu assolutamente … odioso. L’episodio risale a quando avevo tre anni e dunque mi è stato raccontato. Nella mia famiglia c’era, e c’è, una passione per Nureiev. Il ballerino si esibiva a Milano, al Conservatorio, in uno spettacolo per un pubblico ridotto. Il suo grande momento era passato, ma lui era sempre Nureiev. Mia madre Daniela mi portò perché, anche se non capivo cosa stesse succedendo, avrei sempre potuto dire di aver visto il più grande ballerino del mondo. Nell’intervallo, accompagnate da Luciana Savignano – la ballerina è nostra amica, un’immagine di lei che balla con mio padre il valzer del Gattopardo, occupa un posto d’onore fra le foto della famiglia- la mamma e io fummo accettate nel camerino del divo. Fu gentile, strinse la mano a tutte. “Così Rossella” disse mia madre “potrà dire di aver toccato Nureiev.” Ma Rudolf fu sorprendente… Mi prese in braccio e disse: “Potrà dire di aver ballato con Nureiev”. Come ho detto sopra, sto al racconto di mia madre. Vale anche un particolare che raccontava la Savignano: Nureiev sudava moltissimo, più degli altri, forse perché maggiori erano passione e concentrazione. E’ quel particolare che mi ha aperto uno squarcio di ricordo: cioè una percezione di sudore. Non le braccia, o il volto, o il… ballo, ma il sudore del più grande ballerino del mondo.
Infine il cinema, è doveroso. Nel 1977 Ken Russell lo volle nel ruolo di Valentino. Nureiev non era un attore, ma non gli costava fatica simulare. Nel film balla il tip tap e il tango. Passi che uno con la sua base poteva eseguire… dormendo. I documentari che lo riguardano sono decine. C’è un filmato televisivo che fa testo, I am a dancer, del 1972. Nel 1989 toccò anche il musical, il classico The King and I.
Luciana Savignano e Pino Farinotti tributo a Nureyev