THE BUTTERFLY EFFECT N.9
Folk Tales
di Ivan Quaroni
Il New Folk non è un movimento artistico, ma piuttosto un tipo di sensibilità, un’attitudine sviluppatasi a New York all’inizio del nuovo millennio, in opposizione alla fascinazione dell’arte europea per l’immaginario mediatico. Secondo Charlotte Mulina, autrice del libro Painting People, il New Folk non nasce casualmente a New York, ma anzi è il primo stile artistico coerente emerso in seguito all’11 settembre.
D’altra parte, New York è la sede dell’American Folk Art Musei, istituzione che raccoglie le opere e i manufatti di artisti anonimi e autodidatti americani del XVIII, XIX e XX secolo, che hanno in parte ispirato questa generazione di artisti allergici allo stile richteriano tanto in voga nel Vecchio Continente.
Il New Folk guarda, infatti, con interesse all’arte degli outsider, degli autodidatti, dei bambini e dei malati di mente, in quanto rappresentano l’espressione di un senso di verità e semplicità che l’arte mainstream sembra aver smarrito. La predilezione New Folk per il disegno, la pittura e la scultura figurative s’inserisce nel quadro di un più generale ritorno all’introspezione, al racconto di fatti minimi, quotidiani, spesso imbevuti di atmosfere magiche. L’idea dominante, che accomuna artisti anche dissimili tra loro, è di rappresentare la realtà attraverso metafore narrative che prendono a prestito temi e figure dal folclore e dalla tradizione popolare. Quello che accomuna artisti come Marcel Dzama, Amy Cutler, Jockum Nordström, Jules De Balincourt, Ridley Howard, Jocelyn Hobbie, Dana Schutz, tutti residenti a New York o a Brooklyn, è la rappresentazione di bizzarre storie immerse in un’atmosfera campestre o domestica senza tempo. Questi artisti, in contrasto con la cultura consumistica metropolitana, prediligono una grammatica pittorica (o disegnativa) semplice, in cui domina un tono lieve, quasi feriale, di apparente rilassatezza. In realtà, attraverso uno stile immediato, che oscilla tra il fiabesco e il naïve, gli artisti neofolk non rinunciano a svolgere un ruolo critico nei confronti della società. Forse perché meno legati alla cultura urbana americana – Dzama e Coulis sono canadesi, Balincourt è francese, Nordström è svedese, mentre gli americani Hobbie e Ridley si rifanno evidentemente alla figurazione del Novecento europeo – questi artisti indagano, senza troppo clamore, il disagio esistenziale e sociale del nostro tempo. Ciò che ha scritto la giornalista Francesca Gavin a proposito di Marcel Dzama è emblematico: “Guerra, smembramenti, pipistrelli, mostri e sangue. Come può un immaginario così violento essere così incantevole?”(1). Ci si potrebbe porre la stessa domanda a proposito di Henry Darger, l’outsider che più di tutti ha influenzato gli artisti neofolk newyorkesi, tanto da far parlare la critica di Dargerismo dell’arte contemporanea. Personalità borderline e pittore autodidatta vissuto tra il 1892 e 1973 a Chicago, Darger ha fatto del “Do It Yourself” il cardine della propria arte, in netto anticipo sulle perentorie affermazioni del movimento Punk. Senza saper disegnare, ma semplicemente ricalcando le figure da illustrazioni del Mago di Oz, da fumetti e da riviste, Darger ha costruito negli anni una storia illustrata di ben 15.000 pagine, che raccoglie visioni e deliri personali sotto il titolo di The Realms of Unreal. Si tratta di un racconto fantastico, accompagnato da illustrazioni ad acquarello, i cui disegni sono eseguiti la carta copiativa con l’aggiunta d’inserti a collage. La storia narra le vicende delle Vivian Girls, sette sorelle principesse della nazione cristiana di Abbiennia, che partecipano ad una eroica ribellione contro un regime di sfruttamento schiavistico dei bambini imposto dai "Glandeliniani", generali malvagi che hanno l’aspetto di soldati Confederati della Guerra civile americana. Osservando le illustrazioni, caratterizzate da scene cruente dipinte con delicati toni fiabeschi, è evidente l’enorme influenza che hanno esercitato su artisti come Marcel Dzama e Amy Cutler.
Più spesso, nelle opere degli artisti neofolk, temi come la guerra, la violenza e la sopraffazione, lasciano il campo all’indagine interiore, attraverso la narrazione di storie semplici, in cui riverbera una visionarietà delicata e un romanticismo flebile dai toni dimessi.
Anche in Europa il ritorno alla narrazione in questi ultimi anni è emerso come forma d’insofferenza verso l’utilizzo in pittura di fonti fotografiche, cinematografiche e televisive. In Italia, esso è coinciso con la fine della stagione neofigurativa degli anni Novanta, caratterizzata da un’energica esplorazione della cultura di massa, ma anche dall’affermazione di forme deteriori e corrotte di medialismo e realismo fotografico. Infatti, mentre da un lato la “seconda” Nuova Figurazione(2) apriva la strada allo sviluppo di una neonata sensibilità pop, orientata al saccheggio d’immagini provenienti dal fumetto, dall’illustrazione, dalla fantascienza e dal cinema di genere (ma anche dalla cronaca nera), dall’altro, la rivoluzione iniziata con Gerhard Richter, che in pittura ha evidenziato il cortocircuito tra immagine reale e illusoria, ha generato una schiera di pittori seguaci ossessionati dalla fotografia. Ad essi si deve la persistenza in Italia di un iperrealismo di maniera, completamente privo delle intuizioni che hanno reso imprescindibile l’opera dell’artista tedesco.
Accanto all’arte figurativa neopop che ha segnato il passato decennio, continuando a svilupparsi in sintonia con le evoluzioni della cultura di massa globale, in Italia nasce, pur senza che vi sia una comune intenzione da parte degli artisti, una tendenza figurativa sostanzialmente affine a quella sviluppatasi negli Stati Uniti sotto l’etichetta di New Folk. Qualcuno preferisce etichettarla come pittura rurale, ma si tratta di una definizione quanto mai imprecisa, che circoscrive il fenomeno ai pittori neo-naïve, presunti autodidatti privi d’istruzione accademica. In realtà, come i loro colleghi americani, gli artisti italiani dalla sensibilità neofolk possiedono una solida preparazione accademica, ma hanno scelto di esprimersi attraverso uno stile semplice, carico di rimandi al passato, alla tradizione popolare e al folclore. Il nuovo folk italiano è contraddistinto da una forte vena lirica ed evocativa, che si riflette nella scelta di tecniche povere come il disegno, l’acquarello, il collage, la scultura fatta con materiali di recupero o l’uso di un linguaggio pittorico prossimo all’illustrazione. Il disegno, soprattutto, diventa pratica centrale in quest’ambito, uno strumento con cui l’artista si connette direttamente non solo alla propria interiorità, ma anche all’antichità e a ciò che vi è di autentico e spontaneo nelle forme d’arte tradizionali. Non è un caso che Emma Dexter intitoli “To draw is to be human” il testo introduttivo del volume Vitamin D, ampia ricognizione sullo stato dell’arte del disegno nell’arte contemporanea. “Disegnare è essere umani” perché il disegno è la prima e più immediata forma di creazione d’immagini, quindi quella più prossima alla sorgente dei pensieri e delle emozioni, ma anche quella che più si presta alla rappresentazione di pulsioni represse e immagini rimosse che abitano i bui meandri della psiche. Il disegno è espressione tanto vitale ed essenziale che, come nota Emma Dexter, nessuno ne ha mai dichiarato la morte.
1)Francesca Gavin, Postmodern fairy tales at the Ikon Gallery, BBC’s COLLECTIVE n 224, giugno 2006.
2)La Nuova Figurazione originale era una tendenza affermatasi alla metà degli anni ´50 come tentativo di uscita dall’Informale attraverso il recupero di elementi figurativi tradizionali, per molti versi tangente alla Pop Art.