La mostra pubblica di Giuseppe Linardi, patrocinata dal Comune di Follonica, dai Musei della Maremma e dalla Civica Pinacoteca di Follonica, intende rappresentare un riflessione allegra, per alcuni versi irriverente e carnevalesca, ma pur sempre critica, sui rapporti tra ambiente e consumismo. L’artista presenta una serie di opere pittoriche e scultoree che indagano i cambiamenti in atto nel rapporto tra uomo e natura.
Con una sorta di languorosa nostalgia per un ambiente sempre più minacciato dall’incombere di annunciati, ancorché mai realizzati, disastri apocalittici, Linardi ha fatto della natura il soggetto principe delle opere di D-Jungle.
Si tratti di dipinti oppure di sculture, l’artista sembra, infatti, fornirci la rappresentazione di un mondo in divenire, dove la vita prolifera e si moltiplica in ogni sua forma, ora contaminandosi con l’ambiente urbano, ora potenziandosi attraverso le più recenti tecniche di manipolazione genetica. D-Jungle è una sigla che accorpa i concetti di natura (qui identificata con il paesaggio incontaminato della giungla) e di tecnologia (la D che sta per digitale). D è però anche l’iniziale di un altro termine caro a Linardi, Decodificazione, che dà il titolo a tutte le sue opere pittoriche. L’artista usa la parola Decodificazione per descrivere il suo particolare modus operandi, consistente nella frammentazione delle immagini in una miriade di segmenti, simili ai pixel che compongono le immagini digitali. La realtà, così come la descrive Linardi, è il prodotto di una scomposizione atomica, di una parcellizzazione ottica che coniuga certe intuizioni del Divisionismo italiano, come ad esempio il frazionamento dei soggetti in particelle di pura luce, con l’influsso della nuova cultura digitale che, attraverso gli schermi a cristalli liquidi, ci restituisce immagini sorprendentemente nitide. Linardi assume la fisiologia percettiva dell’uomo contemporaneo come punto di partenza per una rilettura del paesaggio naturale, che nelle sue mani diventa un’estensione di quel tipo d’immagini mediatiche che caratterizzano il landscape urbano delle moderne metropoli. E così, i boschi, le foreste, i branchi di zebre e di gazzelle che popolano le tele dell’artista, riflettono la struttura a pixel dei bitmap digitali e ci privano, dunque, di quel senso originario di unità che avvertiamo nell’osservazione diretta, e non filtrata, della realtà. Il confine tra natura e artificio impronta tutta l’opera di Linardi sia a livello stilistico, che iconografico. Ne sono una prova anche le nuove opere intitolate Ri-Natural, che affrontano il tema della modificazione genetica praticata per mezzo di tecniche di manipolazione del genoma di organismi viventi. Protagonista della grande installazione - composta da ventisette tele triangolari applicate su tavola - è, infatti, un gallo geneticamente potenziato, la cui immagine si ripete, sempre uguale, a formare una sorta di mandala geometrico. Linardi si riferisce qui alle tecniche di clonazione, un tipo di manipolazione che rende possibile la produzione di copie geneticamente identiche di un organismo. Tuttavia, la replicazione d’immagini, presente per certi versi già nelle sue Decodificazioni, richiama anche uno dei più affascinanti comportamenti di auto-similarità presenti in natura, quello dei frattali. Un frattale è, per definizione, un oggetto geometrico che si ripete nella sua struttura su scale diverse. In natura, sono presenti molte forme simili ai frattali, come i rami degli abeti, i pattern dei cavoli, le strutture delle foglie di platano e quella dei vasi sanguigni del cuore umano. È vero che nelle opere di Linardi la replicazione geometrica non subisce modificazioni di scala, ma la suggestione è comunque persistente, soprattutto nelle sculture.
Le due grandi sfere armillari intitolate Butterfly Flowers e Ri-Natural sono, infatti, il prodotto della moltiplicazione ad libitum di singole forme naturali, che Linardi trasforma in trappole ottiche, capaci di imprigionare lo sguardo. Lo stesso accade nel colossale Grande Fiore, una margherita alta sei metri, il cui corpo racchiude una caleidoscopica visione del fiore stesso. È la stessa auto-similitudine ricorsiva dei frattali che, come spiegava Mandelbrot, possiede notevoli corrispondenze con la struttura della mente umana. Forse si tratta di quello stesso assetto specchiante e auto-riflettente che ci fa perdurare “nel danneggiamento e nella perdita di noi stessi”. Così, se è vero che, come scrive Linardi, che “stiamo allegramente distruggendo noi stessi”, è altrettanto vero che lo stiamo facendo come parte integrante di quel grande insieme di ecosistemi che chiamiamo Natura. Chi può dire se ciò dipenda dal nostro libero arbitrio o piuttosto da una volontà più grande, che ci comprende e ci sovrasta? D’altra parte, l’umanità, come afferma l’agente Smith in una memorabile sequenza del film Matrix, potrebbe essere considerata alla stregua di un virus che sta infettando l’intero Pianeta Terra.