Il mercato del'arte contemporanea: riflessioni post Affordable Art fair e Art Market Today

Dal 2 al 5 febbraio si è tenuta a Milano Affordable Art Fair 2012 format internazionale che a differenza di altre fiere d’arte prevede un  limite di prezzo sulle opere messe in vendita dai galleristi partecipanti.

Questo calmiere, da 100 a 5.000 euro, è posto non a causa della nota crisi (la fiera è nata nel 1999) che ci affligge ma con l’intento di creare un collezionismo più giovane ed eclettico facilitato proprio dai costi accessibili.

L’evento mette in luce l’importanza del ruolo del mercato nel mondo dell’arte contemporanea; dal 10 al 12 febbraio questo stesso tema è stato al centro del workshop Art Market Today, ospitato a Catania  dall’Accademia di Belle Arti Abadir e organizzato dalla Fondazione Creare: tre intensi giorni di studio e di analisi delle relazioni tra la produzione artistica e il suo valore.  

Ma andiamo con ordine.

Affordable Art Fair si presenta molto diversa da tutte le altre fiere sin da subito: c’è una zona bimbi, che prende spunto dalle attività di didattica museale e tiene occupati con i primi approcci all’arte gli infanti più creativi; si discute di collezionismo e tecniche artistiche attorno ad una cucina ad isola, della quale si servono  artisti e galleristi per cucinare esperimenti culinari da offrire al pubblico dei curiosi e dei potenziali collezionisti.

Il colore simbolo di AAF è il rosa shocking che è usato anche nel bollino che segnala il prezzo delle opere sotto i mille euro: sì, perché  una delle caratteristiche più interessanti della fiera è proprio quella che le opere sono accompagnate da un’etichetta che definisce il costo dell’opera in vendita.

Sin da subito il futuro acquirente riesce ad avere delle informazioni sull’oggetto desiderato:  tecnica, dimensioni… e costo, appunto.

Prassi insolita nel mercato dell’arte contemporanea : durante Art market Today il prof. Isidoro Mazza (ordinario del Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi dell’Università di Catania) sottolinea, infatti, che di solito le gallerie d’arte non hanno interesse a rendere pubblici i prezzi. Per di più, i galleristi esercitano spesso un diritto di scelta sul compratore, che deve possedere una collezione all’altezza di ospitare e far salire le quotazioni di mercato dell’artista da loro rappresentato.

Il professore possiede sensibilità e doti comunicative notevoli e le utilizza per raccontare succulenti aneddoti sul mondo delle aste e sulle barriere che, dice l’economo, nel bene o nel male pongono limiti all’autoproclamazione artistica.

Un’importante questione, quella della definizione dell’artista e dell’opera d’arte, a cui il mercato potrebbe dare delle risposte seppur (scusate l’ironico accostamento ideologico) “partigiane”.

Gironzolando per Affordable Art Fair la sensazione generale è quella di un ritorno alla pittura e al figurativo.

Uno dei temi più ricorrenti è la fine dell’ American dream: bandiere a stelle e strisce con teschi e topi, bottiglie di Coca Cola molotov e banconote da un dollaro con l’icona di Mao sono solo alcuni dei lavori esposti negli stand di via Tortona, che sottolineano quanto il tramonto dei “valori” (siano essi economici o sociali) made in U.S.A. colpisca la riflessione degli artisti contemporanei.

Le superfici sono lucide, lisce, ricoperte di resine che rendono l’opera un oggetto prezioso, atto a resistere ai segni inevitabili del tempo, e desiderabile agli occhi dei compratori, proprio come la pelle di una donna levigata dai prodigi del bisturi e della cosmesi.

Molte immagini pop (neo?) e gallerie che puntano sull’immediatezza del messaggio di generi come la Street art o la fotografia di moda. Queste scelte di stile, dimensioni, supporti e tecniche non appaiono casuali: molti giornali di settore, come Exibart, hanno infatti evidenziato che più che una selezione qualitativa è stata fatta una selezione dei prodotti che potrebbero avere più appeal per i neofiti compratori.

Se è vero che le piccole misure, il prezzo accessibile e il servizio di imballaggio rendono più easy l’acquisto delle opere è anche vero che sminuire l’interesse del giovane collezionista per la ricerca e ridurla al solo apprezzamento per la figuratività può creare qualche dubbio sul rapporto basso costo/qualità del prodotto artistico.

Affordable Art Fair ospita spazi espositivi di città un po’ fuori dal percorso obbligato dell’arte contemporanea Napoli-Roma-Torino-Milano a cui aggiungerei Bologna, come tradizionale polo di studi, Trento per il suo Mart e Venezia per la Biennale.

Tra gli espositori presenti ci tengo a segnalare, la storica Galleria Miomao di Perugia, che da anni punta sul disegno e che ha portato in fiera autori di graphic novel memorabili come Miguel Ángel Martín: perché la figuratività non è un limite e un’arte “popolare” come il fumetto può brillare più di operazioni artistiche create dal mercato speculativo, di installazioni all’autoreferenzialità o di reazionari e anacronistici ritorni al ”bello”.

Il secondo appuntamento della fiera diretta da Marco Trevisan convince per l’organizzazione attenta, per il numero dei visitatori (e la loro giovane età) e per alcune tematiche affrontate, come quella della stampa fotografica e delle sua conservazione.

E gli affari? Alcuni galleristi mi hanno confidato che nonostante l’aumento di pubblico e la diffusione mediatica sostenuta dagli organizzatori le vendite non siano decollate; insomma tanti curiosi, nonostante il gelo che imperava in quei giorni a Milano, ma meno vendite rispetto al primo anno.

 

Pochi giorni dopo ad Art Market Today  si discute del  “sign. Mercato” attraverso  incontri con il mondo delle arti visive  – collezionisti, galleristi, curatori, istituzioni pubbliche, spazi no-profit, docenti ed esperti di economia dell’arte – per capire ancor prima del dove e a chi vendere (argomento caro agli artisti), come la relazione domanda/offerta influisca su tutto il processo artistico dalla sua realizzazione, alla promozione fino alla tutela. Presente al dibattito anche Pierpaolo Forte, presidente del Madre, museo di arte contemporanea di Napoli, uomo d’altri tempi con saldi principi etici e idee chiare su quella che sarà la (sospirata) ripresa del suo museo, tra le poche istituzioni pubbliche che si occupano di arte contemporanea che sono sopravvissute al di sotto di Roma caput mundi.

In videoconferenza dall’Olanda da esperti di economia dell’arte  arrivano proposte pragmatiche per artisti che possono riciclarsi in accompagnatori di cene per commercialisti ottusi o regalare momenti divertenti ad annoiati impiegati.

A parte l’idea, cara al pensiero avanguardistico, per cui la figura dell’artista sarebbe (o dovrebbe essere) capace di migliorare la società grazie alla sua apertura di pensiero e a dare la speranza ai giovani creativi di sbarcare il lunario con attività collaterali direi che c’è il rischio di scambiare l’artista per un fenomeno da baraccone e la compra-vendita dell’arte per un’asta al mercato ortofrutticolo.

Ammetto che definire il valore monetario di un’opera è compito non facile e che definirne il valore aggiunto è impresa ancor più complessa.

All’ Accademia Abadir il vero “guadagno” è stato ricavato dal confronto tra punti di vista ed esperienze diverse – alcune appassionate e sperimentali come quella di Bocs – e dalla possibilità intravista di creare un vero network dell’arte contemporanea in Sicilia.

Il dibattito ricco di opinioni, contraltari, proposte e problematiche ha, infatti, alimentato la speranza che anche in questa terra sia possibile, discutere, produrre,  e collezionare  arte contemporanea.

I giovani addetti ai lavori siciliani che sono intervenuti al workshop hanno dimostrato di avere competenze, esperienze e passione. Doti che se supportate da istituzioni pubbliche o da lungimiranze private potranno sia alimentare il mercato dell’arte che farsi carico di educare la società alla cultura.

Perché non scordiamoci che il mercato non è l’arte. Il prodotto artistico non si vende senza il mercato, ma l’ ”arte” sussiste - e resiste - ad esso.

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